Viaggiando, a ritroso, nelle mie esperienze passate devo ammettere che il campo gravitazionale del pessimismo cosmico mi ha sempre indotto ad orbite vicine a forme artistiche "darkeggianti", minimali e spesso ridondanti di tonalità (acustiche o visive che fossero) cupe e/o tendenti al blu di un astro in avvicinamento e in rotta di collisione (a meno di non esser stato ingannato dall'effetto doppler di un sentirsi consolato dal dolore come fine esistenziale).

Unica eccezione la parentesi dell'esuberanza metal ottantiana di cui (per motivi di contrappasso, immagino) ora ho solo conservato l'insegnamento "blakeiano" che "la strada dell'eccesso conduce al palazzo della saggezza" ma solo in questioni filosofiche in quanto l'età per la perdita dei sensi artificiale è (sic)! inesorabilmente tramontata. Parentesi di cui conservo affetto per qualche mostro sacro (a cui devo casualmente pure la vita) e simpatia per certi tentativi dark dagli esiti a volte improbabili.

Ma un'eccezione, a dispetto del luogo comune, non conferma la regola a meno che non sia contenuta all'interno del quadro di riferimento. Era il 1996 quando i Lamb pubblicarono l'omonimo esordio (noto come "Debut" a molti): troppo poco glamour (e, no, non è un'affermazione contraddittoria, forse semplicemente troppo eleganti ) per essere catalogati come singolarità dai soloni della critica musicale finirono per gravitare attorno alla galassia trip-hop al cui centro non v'era un buco nero ma ben due e cioè il sistema binario Portishead-Massive Attack. Non voglio annoiare con ricostruzioni storiche, che partono da un punto di vista soggettivo, ma volevo solo darvi, pur nella loro fragilità, delle coordinate, il quando e il dove (e comunque tutto quello che si può sapere dei Lamb è riassumibile in questo breve comunicato), perchè i punti sono altri:

Punto non essenziale ma importante (Il Come):

I Lamb sono la forma artistica più ottimista e solare che mi sia mai capitato di apprezzare e per questo (almeno nel mio sistema di riferimento) costituiscono una singolarità: voglio dire che, adeguatamente affrontati anche con un'analisi dei testi, è impossibile non provare simpatia per certi loro voli pindarici spinti dallo stupore per le piccole cose ("Bonfire" in "Fear of Fours"), le eteree gioie ("Heaven" in "What Sound"), gli innocui divertimenti ("Sun" in "Between Darkness and Wonder") in contrasto con un certo tipo di formazione "austera" ("Gorecki" nel citato esordio). Si potrebbe persino affermare che un fan dei Lamb non può essere una cattiva persona (anche qui con le eccezioni all'interno del sistema tipo il sottoscritto che è uno stronzo conclamato) e quindi che il mio esserne attratto costituisce una prova della fallibilità di certa (meta)fisica.

Punto essenziale (Il Perché):

Il motivo che li ha spinti a pubblicare un disco dopo anni di silenzio (in cui si son sciolti e dedicati a, tra le altre cose, ottime carriere separate) non è chiaro: non credo siano i soldi visto che non eran poi così "affermati" nello showbiz (a parte aver fatto da jingle ad un paio di spot internazionali e ad altrettanti italici) e per questo motivo nemmeno la popolarità quindi dovrebbe rimanere una riscoperta creativa del loro connubio. Sono troppo cattivo per credere fino in fondo a questa ipotesi ma, come detto, a loro perdonerei tutto (tranne un disco palesemente brutto) e quindi la questione è "perché voi dovreste ascoltare un disco nuovo dei Lamb?"

Beh, a far l'idiota (cosa che mi riesce benissimo) potrei rispondere perché è un disco dei Lamb e dopo l'ascolto potreste diventare (quasi) tutti persone migliori ma la realtà è perché è un disco intelligente: per carità potrebbe non piacere ma chiunque lo affronti alla fine dovrà riconoscere che non si tratta di una band rattrappita sul loro marchio di fabbrica storico, fatto di melodie che emergono da ritmi sincopati e sostenute dai loop di Andy e dall'ammaliante caleidoscopio vocale di Lou, ma anche di persone che hanno saputo guardare avanti (confermando la loro spiccata vena sperimentale) ma anche girarsi ed ammirare un passato comunque intenso e degno di nota e non solo quello legato alla loro carriera (insieme e da solisti) ma anche quello della loro (volenti o nolenti) galassia musicale. Dire che sia il loro album più Trip-Hop sarebbe comunque una fesseria come del resto lasciarsi ingannare dalla bellissima "Back to Beginning"e classificare il tutto con un"elettrofolk" in equilibrio tra i dischi solisti di Lou e i Luna Seeds di Andy. La realtà è un abile amalgama dove compaiono barlumi di Lamb ma anche (per la gioia di certa critica "classica") di, udite udite, Portishead quando non emergono certe concessioni melodiche più tipiche del genere sviluppatosi in continente (Hooverphonic, per esempio) che non quello in Albione. 

Un disco dei Lamb insomma ma anche non un disco dei Lamb, in perfetto accordo con il principio di indeterminazione, ma forse solo un disco a cui volere bene mentre ci si avvolge nel passato e contemporaneamente ci si perde nel futuro (qualsiasi sia il significato dei due termini) e questo, credo, non sia poco.

Mo.

 

 

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