"Music can heal. It can make the spirit soar or it can simply give respite to the weary traveler. And sometimes you just gotta sing the Blues".

Caro, vecchio Larry. Caro, vecchio Blues. Amici ritrovati.

Ti ho conosciuto grande session man degli anni settanta, ad apporre la tua firma nei dischi dell'AOR più sofisticato di quel periodo. Sono tuoi la maggior parte parte degli assoli di chitarra in "The Royal Scam", "Aja", "Gaucho" degli Steely Dan, e di "The Nightfly", esordio solistico di Donald Fagen.

Poi, mentre i miei gusti si spostavano lentamente verso il jazz, ti ho ritrovato eroe della fusion chitarristica più solare e adamantina, con un pugno di dischi incisi nei primi anni ottanta, lavori che verranno stracopiati da una legione di chitarristi, "Strikes Twice" e "Sleepwalk" su tutti. Musicista di culto, tocco squisito sulla seicorde, animato da un entusiasmo contagioso, granitico ottimismo e anche quel pizzico di ingenuità che da sempre caratterizza i figli più fortunati di "mamma America".

In seguito le nostre strade hanno iniziato a divergere, ti sei accomodato su un raffinato e lussuoso smooth jazz, il più delle volte piuttosto innocuo, anche se costellato di piccole delizie ("Alone But Never Alone", "Last Night"). Sempre e comunque una spanna sopra la banalità che ha dilagato nel mondo fusion di quegli anni.

L'attentato, il balordo che ti ha sparato alla gola, il lungo periodo di riabilitazione, ti hanno tenuto lontano dalle scene, Larry. Ma chi pensava che non avresti mai più suonato si sbagliava di grosso. Piano piano, come un gatto dalle sette vite, come tutti i grandi artisti, ti sei reinventato partendo da zero: le collaborazioni con Lee Ritenour e Steve Lukather ed infine, il ritorno al tuo primo amore, il Blues.

Ed ecco "Sapphire Blue", del 2004. Una formula semplice semplice, che ci vuole? Una chitarra raffinata ma grintosa in primo piano, una gagliarda sezione fiati dietro (arrangiata dal fido Jim Horn), e in mezzo il sound nebbioso e liquido del piano elettrico e dell'organo Hammond. Una ruvida carezza di sassofono ogni tanto? Ci può stare. L'armonica di Terry McMillan come alter ego solistico del leader? Immancabile.

Tutto il disco è pervaso da questa "tensione rilassata", gravida di "brividi bollenti" che solo il blues più verace e sanguigno sa dare. Roba da venerdì sera ("Friday Night Shuffle"), che ti entra subito in circolo senza chiederti chissà quale impegno, ma nel suo genere, roba di primissima scelta. Qui non si pensa, si suda ("Night Sweats").

Il tocco immacolato della inseparabile Gibson ES-335, l'influenza del tuo dichiarato maestro B.B. King, giusto una spruzzatina di jazz qua e là, complice il drumming di Billy Kilson ("Slightly Dirty", "7 For You"), infine la degna chiusa con il passo a due chitarra-armonica di "Take Me Down". Classe esecutiva e buongusto da vendere: bentornato Larry, finalmente con un disco all'altezza del grande musicista che sei.

E che emozione, rivederti in concerto l'anno scorso, ragazzino sessantenne con l'eterno sorriso stampato sul volto, assieme all'altro guitar hero Robben Ford. Che soddisfazione, additarti agli amici più giovani, ancora increduli, mentre improvvisavi in solitudine sulle note di "Falling Leaves", e poter dire: "Lui è stato il mio eroe..."

Lui è ancora il mio eroe...

Cento di questi dischi, Larry.

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