E' il '68, anno particolarmente felice dal punto di vista musicale: i Doors e i Jefferson Airplane sono sulla cresta dell'onda, Jimi Hendrix è intento a rivoluzionare completamente l'uso della chitarra elettrica e i Pink Floyd partono per remoti viaggi lisergici dai quali Syd non tornerà mai più. Ma accanto all'ondata psichedelica, mostri sacri come Bob Dylan e Tim Buckley tengono viva la scena del cantautorato: in questo clima fiorente cominciano ad emergere anche le donne: cantautrici come Joni Mitchell o Laura Nyro, per esempio, avevano tutte più o meno qualcosa da dire. Questo "Eli and the Thirteenth Confession" è infatti la prova che, almeno dal punto di vista artistico, le donne non sono certo inferiori agli uomini...

La musica di Laura Nyro parte dal soul del Bronx di New York, in cui nel 1947 è nata, per poi raffinarsi sempre di più, mescolandosi con il blues e il jazz ed evolvendosi attraverso armonie complicate ma estremamente trascinanti. La voce di Laura, potente ed emozionante ma allo stesso tempo considerevole dal punto di vista tecnico, è il sublime mezzo che unisce questi elementi e conduce l'ascoltatore lungo il percorso spirituale della protagonista. Il disco è una sorta di concept che illustra la parabola di una ragazza che diventa adulta: alla crescita di Eli corrisponde anche una crescita della portata emotiva dei brani; i primi tre pezzi, infatti, ricalcano il soul più classico e costituiscono la parte "facile" dell'album: "Luckie" è una canzone dalla cadenza irresistibile con un motivo vocale tanto semplice quanto efficace; "Lu" invece suona come un fantastico e leggero soul che scivola addosso come pioggia d'aprile; "Sweet Blindness", la più orecchiabile del lotto, cattura per la sua immediatezza, ma ti induce all'ascolto ripetuto per settimane al pari di una droga.

Con "Poverty Train", invece, le orecchie iniziano a fare da tramite per portare la musica al cuore: l'inizio è sofferto, con la chitarra elettrica che si alterna a quella acustica ad intonare un tristissimo blues. Poi un basso e un vibrafono, e una voce lontana che recita: "Last call for the poverty train". Da qui la canzone acquista il ritmo e diventa un meraviglioso piano-pop, con un arrangiamento sontuoso e una melodia vocale struggente, fino ad involversi di nuovo in un requiem blues sommerso da suoni indefiniti: una perla. "Lonely Woman" è invece uno splendido blues sorretto dal piano e dal sax, con la voce di Laura in primo piano. 

Forse il brano più significativo dell'album, e sicuramente uno dei più belli, è "Eli's Coming", che rappresenta il vertice emotivo dell'LP. Dopo un inizio sommesso, un amalgama di voci su un piano scatenato richiama il tumulto interiore di Eli, fino a quando gli strumenti rallentano e, su un meraviglioso e avvolgente giro di basso (uno dei migliori che abbia mai sentito) la Nyro si lascia andare a una stupenda coda al grido di "Eli's coming, you'd better hide your heart".

All'inizio frenetico di "Timer", che poi acquista le caratteristiche di un soul normale, seguono due brani più placidi: "Emmie", lenta e sospesa su eterei archi, è forse il pezzo meno degno di nota; "Stoned Soul Picnic", più ritmata e arrangiata coi fiati, è invece molto trascinante e, non a caso, verrà reinterpretata dai 5th Dimension e avrà grande successo. 

Non so se sarete d'accordo con me, ma trovo che il vero capolavoro dell'album sia "Woman's Blues": dopo un'intro lenta, in cui Laura dà sfoggio delle sue qualità vocali, parte un blues frenetico semplicemente indimenticabile, con un groove di basso talmente bello che è impossibile trovare ulteriori aggettivi, una chitarra che non poteva e non doveva suonare altre note, una batteria con il sound più azzeccato e caldo che possa esserci, e una voce che non fa altro che crescere di spessore fino al bridge, per poi diventare quasi isterica nella coda, con quel "Damn be done" ripetuto più volte che fa il verso ai fiati in sottofondo. 3 minuti e 48 secondi praticamente perfetti.

Se "Once It Was Alright Now (Farmer Joe)", pezzo diviso in tre parti (la prima quasi country, la seconda più nello stile della Nyro e la terza dolce e sussurrata) è gia sufficiente a dimostrare la sfrenata fantasia della cantautrice newyorkese, la successiva "December's Boudoir" non fa che confermare che ci troviamo davanti una compositrice con i controcoglioni: si tratta di una sorta di mini-suite retta principalmente dal pianoforte e dalle tre ottave di estensione della Nyro, che cambia continuamente ritmo ed emoziona ad ogni ascolto, nonostante sia costruita su armonie complesse e non certamente orecchiabili.

La traccia finale "The Confession" mette in risalto l'animo jazz di Laura: dopo uno splendido ritornello che si libra su un fantastico tappeto strumentale, il pezzo cresce d'intensità fino a quell'urlato "I confess", per poi continuare nella coda, con Laura che sensualmente grida: "Love my lovething, love is surely gospel". Una degna conclusione, senza alcun dubbio.

Sappiamo purtroppo che ad un artista eccellente spetta, nella maggior parte dei casi, una morte prematura. E così è stato per Laura, morta di cancro ovarico a soli 50 anni proprio come la madre. Non ha mai avuto grande successo in vita, al contrario di artisti quali 5th Dimension e Tree Dog Night che hanno cantato le sue canzoni guadagnando un sacco di soldi. Forse ciò è dovuto al suo comportamento schivo o al suo rifiuto per lo show business, chi lo sa... In ogni caso, noi a distanza di 40 anni ascoltiamo la sua musica che, aldilà di ogni meccanismo artificioso e commerciale, è bellissima.

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