Play. Arriva subito la botta di Bonzo sul crash che ti sbatte in faccia il riff, a parer mio, tra i dieci più cazzuti della storia del Rock . Sì, rock con la r maiuscola. Nonché assai copiato. Pardon!… nonché tra i più ispiratori. Plant wallallaleggia come un martello degli dei: assiduità ritmica da intontimento, da ipnosi, da trance sonica. “Immigrant Song” con tutto il suo vigore del riff, basato su fondamentale ed ottava, apre l’album per conto mio più sottovalutato della formazione del dirigibile.

Atmosfere tra l’arabeggiante e la cadenza folk permeano “Friends” con qua e là una Les Paul risponde ed arricchisce la base fatta di chitarra acustica e percussioni. Un digeridoo effettato porta poi l’allegria di “Celebration Day” tra le più tipiche, per chi vuole per forza classificarle, canzoni del dirigibile. Ed al mio orecchio, per questo, passa quasi inascoltata. Carina ma non fondamentale: ammesso e concesso premere Forward.

E che dire di “Since I’ve Been Loving You”?!? Sicuramente, per un sottospecie di musicista che sono, inarrivabile: scrivere un pezzo con tale pathos non è cosa da comuni mortali, non è mica robetta da Finley o annessi e connessi. Un blues, un fottutissimo e semplicissimo blues. Ma bisogna saperlo pur rendere il blues: cazzo! Sempre, sempre, sempre; tutte le volte che ascolto il solo di Page non mi vien altro da fare che pensare ad una ragazza. Ah, quanti rimpianti!! Che il fascino di “Since I’ve Been Loving You” sia irresistibile non abbiamo né dubbi né riserve: fatta di acuti che sembrano lamenti e pianti d’amore non ti lascia scampo. Un pezzo di cui innamorarsi, come invaghirsi di una donna o d’un uomo e restarvi indissolubilmente legati per l’eternità.

Ma ecco che tornano loro, gli Zep. “Out On The Tiles”: overdrive sul basso, riffone spettacolo e via. Sembra di sentire una sorta di preludio a “Black Dog”, del loro lavoro a venire, per la struttura del pezzo e la portanza che riveste il riff…d’altronde…Led Zeppelin. Per certi versi il pezzo con attitudine power metal: chissà perché in Scandinavia gli Zeppelin strappano ancora consensi, pure premiazioni. Per altri motivi (o gli stessi?), a molti risulta facile scartarlo, evitarlo. O almeno per gli ascoltatori non fanatici dei 4 inglesi. Se fosse scritto ed eseguito oggi, coi suoni e tecniche di recording odierni…tutti direbbero: Rage Against The Machine o Audioslave…già, Tom Morello. Proprio lui, il chitarrista che deve moltissimo, se non quasi tutto, al riff di “Out On The Tiles”.

Svolta…gli Zeppelin che non ti aspetti. Gli Zeppelin da festa di paese di qualche Shire inglese, Zeppelin ad una festa di matrimonio per far ballar tutti, per far muovere festeggiati e commensali. “Gallows Pole”, ecco servito. Mandole e mandolini a sottolineare l’attitudine bucolica della seconda parte del disco. Conoscete Bron-Yr-Ar? Sì? Bene. No?. Male…dovreste: sta nella campagnia gallese, vi suggerisce niente se vi dico che vi si ritirano gli Zeppelin per comporre e registrare il loro terzo lavoro?

La settima traccia meriterebbe una recensione a sé. “Tangerine”, mandarino. Che vorrà poi dire? A me viene solo in mente Page che nei live, tutto sudato con quei capelloni, sembra un cinese dell’età imperiale. Un mandarino. Ma il pezzo è proprio da enciclopedia del rock. Il solo è da paura. Una chitarra suonare e gemere così, la devo ancora sentire. Affanculo tutti quelli che dicono che il migliore solo di Page è in “Stairway To Heaven”. Sì ok, bell’esecuzione, bella tecnica fin che volete. Ma ad ispirazione e sentimento molto meglio la canzone del Mandarino. Solo Tangerine vs. Solo Stairway: 5 – 2. Cappotto no, sarebbe troppo. Tangerine…un capolavoro assoluto che le raccolte scordano troppo spesso. Troppo difficoltoso recensirla, meglio ascoltarla. Divina. Punto e basta.

Ma la via allora qual è? “That’s The Way” e si ritorna al bucolico e all’acustico imperanti, all’atmosfera hyppie e che assapora di pace dei sensi. Mandolini, chitarra acustica e voce. Pezzo da assaporare come un buon calice di vino, te lo devi godere fino in fondo in tutte le sue sfumature ed in tutti i sentori che lascia. Non li elenco primo per ignoranza e, secondo, per lasciarvi trovare il vostro.

“Bron-Y-Aur Stomp” altro pezzo da festa contadina, pezzo da suonare per far ballare, pezzo rock. Clap clap delle mani. Lo ascolterebbero perfino gli Hamish, figuratevi se non lo ballerebbero. Cazzo…già mi vedo al mio matrimonio: un po’ di musici e giù a pestarci di balli tra un bichciere e l’altro grazie allo Stomp della cassa. Pezzo da sudarci su. Vuoi far ballare e non hai la corrente? Suona “Gallows Pole” e “Bron-Yr-Ar Stomp”. Diventerai il re della serata.

“Hats Of To (Roy) Harper” ti porta sul Missisipi. Suoni acustici, bottleneck, rasofonicità, blues nero da età senza corrente. Affascinante e atipico anche per l’album fuori coro degli Zeppelin. Ok, va bene, vi dirò la verità. Non è degli Zeppelin questo pezzo. E’ un blues di Bukka White…l’ispirazione a Robert Johnson è troppo evidente. Tributo doveroso.

Led Zeppelin III…un Bignami del rock. C’è tutto: la potenza ed il vigore, la dolcezza ed il piglio suadente, il suono ultraeffettato (si parla comunque del 1970) e l’acustico, le atmosfere rilassate e quelle toniche all’eccesso, la melodia di stampo popolare e quella più ricercata. Una chicca imperdibile. Un disco troppo avanti per i suoi tempi, e per questo denigrato dalla critica. Un disco autentico che a mio modesto parere pone in evidenza gli Zeppelin più sinceri. Un disco da avere e di cui vantarsi. Un disco da ascoltare all’eccesso: in auto, sotto la doccia, alle feste, dappertutto ed in ogni situazione. La migliore sintesi dei Led Zeppelin.

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