Dopo Physical Graffiti, i Led Zeppelin sembravano aver perso qualcosa nel suono, e infatti era così. I primi quattro album sembravano ormai irraggiungibili, e in parte era così. Durante il tour di Physical Graffiti, nell'agosto del 1975 Plant assieme a moglie e i figli ha un terribile incidente automobilistico: Plant è costretto su una sedia a rotelle e il tour di Physical Graffiti viene prontamente interrotto. Non potendo momentaneamente suonare in pubblico, decidono di pubblicare una nuova fatica, Presence.

Presence, in confronto agli album precedenti, è meno interessante, ma il repertorio non è interamente trascurabile. Prendiamo in esempio il lungo brano d'apertura: "Achilles Last Stand". Il brano non è affatto brutto, anzi io lo considero un capolavoro e francamente lo è. Gli strumenti sono perfettamente bilanciati e Plant ce la mette tutta per rimanere al passo con gli altri, Page sovraincide una fila di chitarre e si lancia in uno splendido assolo, uno dei più memorabili della sua carriera ed è proprio lui ad animare il brano sin dal riff iniziale di chitarra fino al riff di chiusura, Jones sfoggia una tecnica impareggiabile, conferendo alla canzone maggior epicità, ma secondo me la tecnica migliore la sfoggia Bonham. La sua prestazione alla batteria è ineguagliabile e le sue rullate sono mozzafiato. Il brano è decisamente uno dei più hard e belli del loro repertorio. Dopo "Achilles Last Stand" ecco "For Your Life", un'altra canzone che dimostra la durezza del suono zeppeliniano, offrendo buone cose dei quattro. "Royal Orleans" è un irritabile funky dal ritmo trascinante ma un po' ripetitivo, ed è una delle occasioni perse di questo disco. "Nobody's Fault But Mine" è invece un ottimo brano giocato su una frase ipnotica: "nobody's fault but mine". Questo brano è una cover di un blues denominato "It's Nobody's Fault But Mine", ed è senza dubbio uno degli episodi più riusciti del disco. Ora passiamo all'episodio più trascurabile del disco: "Candy Store rock". Mi duole ammetterlo ma questa canzone farebbe vomitare chiunque l'ascolti, e alla fine ci si rende conto che le migliori idee dei Led sono ormai acqua passata. Ma "Hots On For Nowhere" non è nulla di tutto questo: è un brano piacevole, divertente, giocato sulla divertente voce di Plant e sui piacevoli giri di chitarra di Page. Per chiudere il disco i Led sfoggiano uno dei loro esempi più drammatici e dolenti: "Tea For One" è un lungo blues in minore, che forse ricorda un po' troppo "Since I've Been Loving You" (su Led Zeppelin III) ma che non manca assolutamente di passione e di drammaticità, per cui non è da buttare.

Scusate se mi permetto di farlo, ma commento anche la copertina: certamente è una delle migliori cose del disco, con quell'obelisco che compare qua e là, e dà un senso di rabbia e forza. Presence possiamo definirlo come il famoso bicchiere mezzo/pieno mezzo/vuoto: da un lato ci si può accorgere che i Led sono ancora in grado di stupire e di regalare canzoni autentiche, ma da un altro lato capiamo che i tempi di Stairway To Heaven sono definitivamente passati, come dimostrerà il disco successivo In Through The Out Door (1979), il disco più trascurabile del dirigibile.

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