E' innegabile in un modo o nell'altro tutti subiscono il fascino dei Led Zeppelin. Il successo che lievita ad ogni pubblicazione discografica della band, le interminabili prove dei sempre più mastodontici tour che vengono intrapresi e le riviste che vendono a dismisura ogni qual volta dedicano al gruppo una copertina: gli Zeps avevano il mondo ai loro piedi!

Il 1976 porta anche delle grane in casa Zeppelin, visto che Jimmy Page viene accusato da Kenneth Anger di aver trascurato la lavorazione della colonna sonora per il suo film, realizzando non più di 28 minuti di musica valida, definendo il chitarrista incapace di reggere alla droga della quale è del tutto schiavo. Quelli che potevano essere definiti i veri pericoli della vita, erano delle reali costanti che cominciavano a sfibrare - come nel caso di Bonham con l'alcool - chi aveva scelto l'improbabile  strada del rischio. Ma l'evento che frenò le registrazioni di "Presence", fu l'incidente automobilistico di Plant in Grecia verificatosi il 4 agosto del 1975 che costrinse il cantante ad una convalescenza di alcune settimane sull'isola di Jersey, anche per motivi fiscali. Le idee di Page per il disco cominciarono a prendere forma già nel settembre del 1975, per poi essere concretizzate con il lavoro di Jones e Bonham per la fine del successivo mese di ottobre. Le prove si svolsero agli studi S.I.R. di Hollywood mentre per le registrazioni furono scelti i Musicland di Monaco di Baviera, in modo da schivare anche questa volta il fisco americano.

"Achilles Last Stand" è un brano che ci scaraventa con la potenza di un tornado all'interno di questo monumento sonoro dove la chitarra eroica di Page guida tutti gli altri, costruendo anche con l'impeto vocale di Plant una raffica di melodie e sovraincisioni strumentali, che  non ne sviliscono il risultato complessivo neanche di fronte ad un capolavoro del passato come "No Quarter". L'epicità che raggiunge i massimi livelli nel finale strumentale, esalta le lyrics chiaramente ispirate ai viaggi compiuti in Africa (Seek a man whose pointing hand a giant step unfolds - Guiding us from the burning path that churns up into stone - If one bell should ring celebration for a king - So hard that should be again = Cerca un uomo la cui mano indica svelando l'orma di un gigante - Guidaci fuori dal sentiero di fuoco che crea pietre - Se una campana dovesse suonare a festa per un re - Sarebbe così difficile ancora).Per "For Your Life" è prevalentemente il dialogo coesistente tra chitarra e batteria a dominare la scena, mentre le strofe eseguite risplendono di luce propria, principalmente per via anche di una gradevole orecchiabilità di cui sono dotate, per un testo molto intenso dedicato ad una storia di droga (Oh and she said: don't you wannit? - Don't you want coca coca cocaina, - Hadn't planned to - Could not stand try it, friend, yeah! = Oh, diceva: vuoi? - Non vuoi coca coca cocaina, - Non era nei programmi - Non ho resistito a provare, amico, già!).  Quando si passa all'ascolto di "Royal Orleans" ci si rende conto dello spirito funk (di cui un assaggio ci era già pervenuto con "The Crunge" da "Houses Of The Holy") perfettamente incarnato dai quattro Zeps e che rende il brano un discreto tramite che ci porta dritti ad un altro apice di questo album: "Nobody's Fault But Mine". L'introduzione della chitarra non lascia spazio a dubbi, una volta sentita si stampa nel cervello e non se ne vuole più andare, rendendo la reciproca influenza tra la vincente accoppiata ritmica Bonham/Jones e la maestosa prestazione di Page favorevole all'anello di completamento rappresentato dall'inquieta ma decisiva prova di Plant. Se volevamo tuffarci pienamente negli anni 50 ed in quello che di buono hanno portato, non c'è che da lasciarsi trasportare dalla rotolante "Candy Store Rock", un pezzo dove lo spirito di Elvis viene fuori naturalmente senza far gridare per forza  alla contraffazione d'autore. Con "Hots On For Nowhere" non si può non riconoscere che la band abbia colto l'occasione di dare sfogo a quella dosata ed estemporanea leggerezza riprodotta - dai vivaci vocalizzi miscelati a dei piacevoli sapori swing -, di cui anche un disco targato Zeppelin ha bisogno. Al capolinea di questo disco ci porta "Tea For One" un lentissimo blues che si fa ascoltare benissimo, seppur volendo rievocare senza mezzi termini i fasti della gloriosa " Since I've Been Loving You", ma risultandone semplicemente una riedizione ben eseguita ed aggiornata  ai tempi.  

Un disco la cui lavorazione durò 18 giorni e che si pensò prima di titolare come "Thanksgiving" e poi "Obelisk": l'idea era quella di mettere in copertina fotografie che riproducevano la vita degli anni 50 con al centro un obelisco a raffigurare la forza della band. In Gran Bretagna l'obiettivo del disco d'oro fu raggiunto il giorno stesso della pubblicazione, ma ad impedire di diventare un acquisto obbligato fu anche la non lontana pubblicazione del primo live "The Song Remains The Same".

I sette brani di "Presence" rispecchiano un periodo tutt'altro che felice per la band (la presenza in studio di Plant su una sedia a rotelle ne conferma la difficile gestazione), non riuscendo a trasfigurare con quella continuità che aveva contraddistinto il recente passato, gli sforzi e le prove che gli avevano fatto osare di andare oltre.

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