Tra "Recent Songs" e "Various Positions" trascorrono cinque anni: è un lasso di tempo abbastanza ragguardevole e nel frattempo il panorama intorno a Leonard Cohen è profondamente cambiato: siamo nel 1984 e, "grazie" al canale tematico MTV apparso tre anni prima la musica popolare contemporanea, nell'immaginario collettivo, comincia a diventare sempre più apparenza e sempre meno essenza; e a imporsi agli occhi di un pubblico sempre più inquadrato come un gregge da condurre e plasmare sono personaggi sempre più divi, sempre più modelli ed icone nelle accezioni più frivole di questi termini e sempre meno artisti; il livello artistico del pop mainstream subisce un tracollo verticale, da cui mai più si sarebbe ripreso, andando via via peggiorando in un marasma senza via d'uscita. Uno come Leonard Cohen con questo nuovo ordine delle cose c'entra veramente poco, lui non ha mai bucato lo schermo, e ha sempre lasciato che la sua musica parlasse per sé: evitando pose artificiose da rock star e rimanendo sempre un artista corretto, coerente e fedele a sé stesso ed ai suoi principi è riuscito a diventare una figura di culto, una stelle polare per chi vuole orientarsi in cieli diversi da quello inquinato dallo smog e dalle luci artificiali dell'antimusica imposta dal sistema, ma nel 1984 questo non basta più: "Look, Leonard, we know you're great , but we don't know if you're any good" questo è quello che si sente rispondere dai vertici della Columbia quando si ripresenta in studio per dare un seguito al capolavoro "Recent Songs".

Nonostante l'insensato ed ottuso ostracismo di un estabilishment musicale sempre più sordo e cieco davanti alla musica intesa come forma d'arte e non come prodotto di consumo, "Various Positions" è il disco pop per eccellenza di Leonard Cohen: la svolta che era già stata tentata ed in parte fallita sette anni prima con "Death Of A Ladie's Man" qui riesce alla perfezione, grazie anche all'aiuto dell'amico produttore John Lissauer, fondamentale con il suo apporto di arrangiatore e tastierista e a Jennifer Warnes, presenza sempre più importante e caratterizzante, che viene addirittura accreditata come co-vocalist al pari di Cohen medesimo. Come da titolo, l'album è senza dubbio il più vario ed eclettico della carriera del cantautore: influenze jazz, country, folk e gospel si innestano su una matrice pop, le atmosfere sono più leggere e distese, più facilmente assimilabili rispetto a quelle di "Recent Songs", ed anche questa semplicità di fondo contribuisce a fare di "Various Positions" un ricettacolo di canzoni indimenticabili: pensando a Leonard Cohen non si può non pensare ad "Hallelujah", inno di fede, d'amore e di musica. Di questa canzone è stato fanno un uso massiccio, in molti casi vero e proprio abuso, poco gradito allo stesso Cohen, ma per me la vera "Hallelujah" rimane quella originale: limpida, gioiosa, serena e per niente melodrammatica, recitata più che cantata come si confà ad una tale poesia, con i coristi, tra cui spicca l'esordiente Anjani Thomas, che intonano quello che è forse il più famoso coro gospel della musica popolare contemporanea: perfezione praticamente raggiunta in pieno attraverso lo stile, la misura e l'ispirazione, questa è l'originale "Hallelujah", e questa è l'estrema sintesi di tutto "Various Positions", che vanta altri quattro celebrati cardini del repertorio di Leonard Cohen: "Dance Me To The End Of Love", un tango che nella sua passionale teatralità pone l'amore come ultimo baluardo contro la barbarie della razza umana, immortalato in tutta la sua essenza in "Cohen Live" del 1993, la suadente canzone d'amore "Coming Back To You" in cui il poeta, con una voce già leggermente più arrochita rispetto agli esordi, regala un'interpretazione da grande crooner, e i due brani in cui si avverte maggiormente il contributo di Jennifer Warnes: l'intima "Night Comes On", rivestita di un'atmosfera delicata e sognante dai sintetizzatori di John Lissauer e la conclusiva "If It Be Your Will", ballata struggente ma liberatoria, di bellezza semplice e disarmante, dove invece gli arrangiamenti di contorno sono più defilati rispetto al resto dell'album, lasciando il proscenio alle voci di Leonard e Jennifer, nel loro secondo vero duetto dopo "The Smokey Life", accompagnate da una chitarra acustica dal sapore flamenco.

Oltre a queste pietre miliari, "Recent Songs" riserva altre belle sorprese, brani forse "minori" in senso assoluto ma che completano bene un album sintetico e diretto, strutturato alla perfezione e praticamente privo di punti deboli: l'asciutta e sfuggevole "Hunter's Lullaby", amaro ritratto di un suicida, l'ipnotica e tormentata "The Law", impreziosita dall'affascinante controcanto di Jennifer Warnes, incentrata sul concetto biblico di una legge divina implacabile ed ineluttabile, e soprattutto quella che per me è una delle canzoni più sottovalutate di tutto il repertorio del nostro: "The Captain": un riuscitissimo up-tempo country-western, con tanto di violino in evidenza, dalla melodia facile ed immediata, che dietro la sua apparente spensieratezza e disimpegno nasconde un testo meraviglioso, ironica e pungente metafora sull'insensatezza delle guerre, con riferimenti alla storia del popolo ebraico ed una neanche troppo velata satira all'imperialismo yankee.

Come giustamente affermava Freddie Mercury, bisogna anche saper cambiare e rinnovarsi se si vuole continuare ad essere artisti credibili e non rimanere imprigionati nei propri clichè e diventare delle parodie di sé stessi, sempre più ingessate e risibili man mano che gli anni passano: ora, il buon Freddie nella sua evoluzione si è più volte snaturato e non ha saputo evitare alcune cadute di stile, ma Leonard Cohen si, ha saputo leggere di volta in volta lo spirito dei suoi tempi, continuando a rinnovarsi con lo stesso messaggio di fondo, la stessa onestà, la stessa mancanza di secondi fini che non siano quello di unire musica e poesia, cercando di farlo di volta in volta nel miglior modo possibile; questo è Leonard Cohen, questo è "Various Positions".

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