Innanzitutto, buonasera. Come penso ogni appassionato di musica che si rispetti, tendo ad avere una passione viscerale, una curiosità naif, bambina CURIOSA nei confronti degli album di debutto di ogni artista. L'idea che al debutto ci sia un embrione, un tratto distintivo per eccellenza, un marchio, mi ha sempre affascinato parecchio. Così sono andato ad ascoltarmi questo album dei Little Feat, composizione dellla west-coast americana formatasi verso la fine dei sessanta e l'inizio dei settanta, intendiamoci, nel periodo giusto. Sono giunto a loro grazie a Ry Cooder, e al mio amore incommensurabile per la chitarra slide, quel suono cattivo, crudo che ti sputa la polvere in faccia, ma ho trovato molto altro. Partiamo dal periodo: siamo nel 1970 e come bene sapete il panorama musicale è già letteralmente esploso da qualche anno dopo la fatidica summer of love, la stagione dell'amore che ha portato nella costa losangelina spensieratezza, democrazia, follia, ritorno ad un'umanità persa nei secoli e negli anni per via della società dei consumi americana, ritrovata in una primordiale primitività (nel senso nobile del termine) giovanile, con come colonne sonore canti vivi, psicotici, blues, folk, beat, vibranti o come volete. In quest'album, nonostante si possa notare un qualcosa che suoni un pò Grateful Dead, un pò così, alla moda del tempo, c'è qualcos'altro, una consapevolezza postuma, da quel periodo molti avevano già tentato di ottenere un sound blues psichedelico, condizionato dal periodo storico (vedi Country Joe & The Fish piuttosto che Jorma Kaukonen e gli acustici Hot Tuna dopo avere abbandonato i Jefferson Airplane) diversa da tutto ciò che era già stato fatto in precedenza, diversa da ogni condizionamento di tipo psichedelico, di tipo sociale se vogliamo, con il risultato finale di un sound autentico, che riprende una tradizione folk americana contaminata di nero e la rende nuova grazie al talento puro degli artisti. Lowell George suonò con Zappa ma pare che fosse così bravo che Zappa gli suggerì di coltivare il proprio orticello, come si suole dire, e fu tra gli altri grande ispiratore di Beggars Banquet e Let It Bleed dei Rolling Stones, per via della vicinanza a Ry Cooder, amico e nemico della band anglosassone. La sua voce è cruda e vera e soprattutto americana, a stelle e strisce, e insieme alla copertina dell'album (bellissima) ci riporta in quelle stazioni di servizio americane, quelle in cui gli scrittori e i beatnik hanno passato notti piene di speranza e solitudine. Alle tastiere abbiamo Bill Payne, che tra gli altri ha lavorato con i Pink Floyd, Jackson Browne, James Taylor e Bonny Raitt, con delle sonorità blues degne della carovana di Joe Cocker in tour. in Willin' lo slide sopraffino di Lowell George tocca poche note, ma in un modo delicato, sentimentale, una chitarra solitaria più che solista, capace di dare la dolcezza e l'aridità di un blues ben suonato, a 360 gradi. Hamburger Midnight con cattiveria mi fa salire su una Harley e girare per le aride pianure del sud degli Stati Uniti, quelle al confine con il Messico, una voce cruda urla nel microfono e io sono già nel trip del disco. Ancora una volta la musica mi ha steso, un pò come mi succede tutti i giorni, con questo disco embrionale e prezioso.

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