La fama di Liz Phair è sempre rimasta legata all'ottimo esordio "Exile In Guyville", che l'aveva innalzata a paladina dell'indie-rock al femminile e della musica rigorosamente in low-fidelity (anche se è ben evidente, a partire da quest'album, che Liz Phair non ha mai ricercato volutamente il falso mito del low-fi). I due dischi successivi però sono sempre stati per lo più snobbati e sottovalutati, nonostante molte buone intuizioni. Questo "Whip-Smart" è stato il gradino più pericoloso, in quanto seguito diretto del pluriosannato esordio. Di certo è meno provocatorio, meno originale e meno franco; Liz Phair non parla più così scioltamente di sesso (pur non smettendo di parlarne), le canzoni descrivono relazioni più stabili e meno turbolente di quelle narrate nei piccoli confessionali del disco precedente.

    Già l'apertura è meno stratosferica: "Chopsticks", due minuti di impalpabile pianoforte, non è certo trascinante come una "6'1"". Eppure la Phair riesce comunque ad attirare l'attenzione dell'ascoltatore grazie ad una curiosa trama ed al suo primo "fuck" gratuito: "He said he liked to do it backwards. I said that's just fine with me. That way we can fuck and watch TV". E' in un testo come questo che emerge in pieno lo spirito di Liz Phair in tutta la sua schiettezza e ironia, probabilmente le vere chiavi del suo fascino.

    Ma se "Chopsticks" spiazza l'ascoltatore, questi non può che trovarsi ancor più allibito quando subito dopo si trova faccia a faccia con la vulcanica "Supernova", buon tentativo di azzeccare un perfetto hit single in tempi ancora non sospetti. Il pezzo è squisitamente orecchiabile e messo in risalto dal testo, tutto fuorché convenzionale per una canzone d'amore. Anche in "Support System" Liz Phair gioca in lidi più pop, introducendo un ritornello fischiettato che è probabilmente cortesia degli XTC, ma funziona perfettamente nel suo contesto.
Ai puristi due pezzi come questi - benché entrambi freschissimi esempi di pop perfettamente a cavallo fra indie e mainstream - possono far storcere il naso. Quando Liz Phair si accosta di più al suo esordio però fa anche meglio: "Nashville" è parente neanche troppo lontana di "Gunshy" o "Explain It To Me" di "Exile In Guyville": un distorto pezzo acustico dal retrogusto psichedelico e sognante. Ma anche la criptica "Shane", agghiacciante soprattutto nella chiusura affidata ad un inquietante "You gotta have fear in your heart" che si ripete ciclicamente come un solenne monito. La malinconica "Go West" è un pezzo che, semmai ce ne fossero ancora, toglie ogni dubbio sulla versatilità vocale di Liz Phair, mettendo a confronto ancora una volta come nella celebre "Flower" il suo sublime contralto con un celestiale falsetto.

    Peccato che nella seconda metà il disco, pur mantenendosi su livelli buoni, non riesca a colpire allo stesso modo se non nella frenetica "Jelaousy" e nell'imprevista cantilena della title-track (in cui Phair descrive un suo futuro ed ideale figlio per poi sfociare nel divertente ritornello, consapevole citazione della "Double-Dutch" di Malcolm McLaren). Il nudo rock crescente di "May Queen" è il brano di chiusura più azzeccato di tutta la discografia della cantautrice.

    "Whip-Smart" risulta un piacevole disco di transizione fra "Exile In Guyville" e la svolta di "Whitechocolatespaceegg", più digeribile e meno amatoriale del predecessore ma ancora lontano dall'essere un mero disco di massa (non casuale ogni riferimento al self-titled del 2003). E anche se non sempre convince del tutto, di dischi così non se ne trovano più tanto facilmente.

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