Il tempo possiede ciclicità alquanto scandalose, se con ferrea attenzione si cerca di seviziarlo e farlo proprio. Quante volte capita all'interno di un giorno di coglierne la più completa sfuggevolezza sospinta dagli stessi fasulli interessi che lo costituiscono?

Quanto spesso ci si accorge di avere in mente le uniche due cose che fanno rima con ordinarietà?
Non esistono risposte plausibili ed accettabili al riguardo, né soluzioni spietatamente pratiche. Vi sono solo rifugi, e questo è uno di essi.
Completamente certo di essere considerato un idiota dai più che non ammettono l'esistenza delle problematiche sopracitate, credo che sia doveroso rendere pubblico, in modo spudorato, che "METAL MACHINE MUSIC" è un vortice di irrazionalità indotta, non una registrazione glam-naif.

Le sue spire sanno stupire ed incantare, proiettare ed allucinare, candidandosi fermamente come possibili droghe sintetizzate da frequenze sonore. Una macchina infernale dotata di puro cannibalismo avvia il proprio motore di kharma dando sfogo ad inesistenti canali di irradiazione che solo un mostro bio-meccanico potrebbe possedere. I chilometrici feedback che affliggono i vostri timpani vengono progressivamente lasciati straziare da mugolii di gatti inestistenti e insani che trotterellano lungo le vie di una Bombay e/o Nuova Delhi in cui non state camminanndo realmente, ma della quale non-percepite i petali, di un rosso vermiglio, che vi ricoprono le palpebre vibrando e respirandovi addosso senza il minimo valore sensoriale, ed è impossibile rimanerne taciti, seppur offesi da tale bellezza di non-realtà.

Mentre il sole sorge e tramonta a intervalli di ciclico stampo, le domande siamesi da cui il viaggio è maturato risultano sparire sotto effetto di una mente annebbiata da aurore fuxia, gabbiani magenta e pinguini di un viola pois in giacca e cravatta che vi domandano quanto manca a Rovereto, indignandosi successivamente per la vostra non-risposta.
Imprecazioni in una lingua arcaica oltrepassano il canale sinistro per schiantarsi nel destro con violenza primordiale tale da far rabbrividire l'uomo-gesù e Gan stesso.  Lo stato di contezza si scioglie, si sparge si inviluppa e si ritrae, spezzandosi solo nel passare da una sequenza a quella successiva. "Pt.1-Pt.2-Pt.3-Pt.4-Pt.1-Pt.2-Pt.3-Pt.4-......."

Gnomi dal macabro aspetto, capaci di allucinare Syd Barret in persona, acuiscono il senso dell'opera, macellandosi a vicenda davanti ai vostri occhi indifesi e spauriti dalla non-grazia di tutto ciò. È un viaggio infinito. Nessun vettore da seguire. Nessuna luce da raggiungere. Nessun presente da poter portare indietro con sé e per sé. È ripetizione: il tempo, intrappolato in sé stesso.  Nessun suono oligarchico. Solo quel riverbero eterno dalle infinite resurrezioni. Il serpente non smetterà mai di mordersi la coda.

Al contrario Lou Reed si sarà morso le mani rendendosi conto di aver praticamente dato il via ad un ciclo (uno veramente nuovo) che ha precocemente inabissato questa sua inimitabile opera, ripescata e nominata solo da gente come Sonic Youth e My Bloody Valentine, persone che devono "veeerameeenteee" molto a questo suo disco (e non solo questo...). Era il 1975.

Acidi buoni, pace, amore ed epatite.

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