Lou era un tipo che il naso alla critica musicale (e pubblica) lo faceva storcere di proposito, nessun dubbio su questo.

Quel famoso e rumoroso Metal Machine Music di qualche anno prima -per alienare i propri fans- aveva già mostrato il suo lato più cazzaro (o liberal/artistico ?). Parliamoci chiaro, poteva permettersi questo e altro Lou. Lo stesso tizio che mandò a quel paese Andy Warhol alla vigilia delle registrazioni per il secondo album dei Velvet Underground una decade prima.

Così gli anni settanta di Reed terminano con l'incisione del dandyano The Bells. I compagni d'avventura -di tutto rispetto- sono

Nils Lofgren (qualche anno dopo entrerà a far parte della E Street Band del Bruce come chitarrista) che firma alcuni brani affiancando Lou alla scrittura;

Don Cherry, trombettista tra i più prolifici della sua razza nonché papà di Neneh e Eagle-Eye. Il nome di quest'ultimo signore dovrebbe essere inciso sulla cover dell'album accanto a quello del protagonista poiché è proprio Don a reggere, delineare l'intero delirante branco di brani.

Delirante, si. Non per la struttura degli stessi bensì per la nevrotica, parodistica interpretazione da parte di Lou.

The Bells è un album più fatto del suo autore; ha la consapevolezza (forse non troppa però) di scimmiottare quella fase storica di Dance Music imperante. Disco Mystic infatti, seconda traccia, è a tutti gli effetti una sorta di strumentale ripetitiva. Stupid Man apre le "danze" con un incedere Iggypoppiano che narra di un uomo a cui manca la figlia e che per svariati motivi non può far altro che lasciarsi andare alla malinconia dell'assenza. Poi saltano fuori With You e City Lights, ovvero due delle canzoni più bizzarre mai registrate e concepite. La prima ad un certo punto ripete Slow Down, Slow Down (cosa che pensi anche tu mentre l'ascolti) e la seconda vede il timbro di Reed calare vertiginosamente per un testo dedicato a Chaplin e alle sue disavventure politiche. La traccia omonima The Bells invece è improvvisata negli studi di Berlino, o almeno il testo, e presenta un'introduzione tetra, rarefatta e triste in tributo ad Edgar Allan Poe.

Ah, broadway only knows The great white milky way It had something to say When he fell down on his knees After soaring through the air With nothing to hold him there It was really not so cute To play without a parachute

In sostanza il disco è uno dei più bizzarri ed eccentrici esperimenti di Lou Reed, e qua e la le chiacchere in studio hanno un volume più alto di quello dei brani; ma il vizioso è stato anche questo, uno che non si prendeva troppo sul serio (a me sembra addirittura che quel mezzo ghigno sulla copertina ti stia prendendo per il culo).

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