Forse uno stile troppo anacronistico per i gusti umani, eccessivo per mentalità semplicemente naturali, esasperato per chiunque, come chi non potrebbe essere mai in grado di cogliere dei cosi impercettibili sofismi che stanziano tra l’astratto e il concreto, avvolti in una fusione sonora, anch’essa anacronistica se paragonata a ciò che da sempre e fino ad ora è stato chiamato con l’appellativo di “musica”, dove intelletti del genere vengono persuasi ad una iosa di significati e sensazioni confusionaria in cui le immaginazioni e le predilezioni imposte dalle proprie esperienze conducono ad una contorta e dissuasa sintassi del significato.

Approfittando e tenendo conto delle fragilità mentali Lucio Battisti e Pasquale Panella fantasticano in ragionamenti congetturali che arbitrariamente spaziano nella labilità della psiche umana. Frutto di due mentalità cosi evoluzioniste da creare delle barrire concettuali tra chi produce e chi consuma. Ma nonostante ciò il tema primario di tutta la sua produzione emerge come non mai dagli infiniti schemi ermetici che a primo impatto lasciano intendere solo al nulla. Sin dal brano di apertura: “Almeno l’inizio” il carattere della donna affiora in una personalità talmente viva da ricondurre il pensiero alle antiche atmosfere liriche dove il rapporto uomo-donna era quasi sempre retorico e cristallino. Sotto una martellante base sonora che coinvolge del tutto spontaneamente chi ascolta, si percepisce quasi con estrema facilità nella figura della donna la vanità femminile e il narcisismo. “Tu dicevi no, ancora io mi voglio rivedere, e se non tutta almeno l’inizio”, figura affiancata alla consueta presenza maschile nel ruolo di vittima o comunque di chi patisce ogni atteggiamento di essa. E che dire dell’elettrizzante “Stanze come questa”, straordinariamente unica, inclassificabile, una stanza più ermetica dello spazio, spazio nel quale i due sessi compiono un viaggio immaginario, abbattendo qualsiasi barriera mentale, osservando reggie, attraversando foreste nere, oltrepassando infiniti ponti fino ad arrivare niente meno che ad Alessandria, per poi ritrovarsi di nuovo li, dove il pensiero trova i suoi limiti. “Il posto è qui. E’ qui quel lavorio dell’erba simile al pensiero”. E poi il finale, un finale da brivido, l’apice della maturazione umana di un genio, un atto di conclusione che solo chi come lui poteva permettersi di immaginare, "La voce del viso". L’apice dell’ermetismo, l’ultima ma forse, anzi sicuramente la più chiara di tutte. Talmente chiara da riuscire a diventare inaccessibile.
Tutto è racchiuso all’interno dell’anima: l’emozione, la sofferenza, la gioia. Tutto chiuso ermeticamente. L’unico modo per metterle al mondo è il viso: ciò che agghiaccia, ciò che abbaglia, e il corpo invece, indispensabile, ciò che alimenta, il senso della nutrizione, ma non è di esso che ci si innamora.

Elenco tracce testi e samples

01   Almeno l'inizio (04:57)

02   Hegel (05:15)

Ricordo il suo bel nome: Hegel Tubinga
ed io avrei masticato
la sua tuta da ginnastica.
Il nome se lo prese in prestito dai libri
e fu come copiare di nascosto,
fu come soffiare sul fuoco.
Cataste scolastiche: perché?
Quando tutto è perduto non resta che la cenere e l'amore;
e lei nel suo bel nome era una Jena.
Chi di noi il governato e chi il governatore
son fatti che attengono alla storia.
Chi fosse la provincia e chi l'impero
non è il punto:
il punto era l'incendio.
Erano gli esercizi obbligatori estetici,
le occhiate di traverso, e tu guardavi indietro;
c'eravamo capiti, capiti all'inverso.
Ci diventammo leciti per questo.
D'altronde, d'altro canto.
A volte essere nemici facilita.
Piacersi è così inutile.
Un bacio dai bei modi grossolani
sfuggì come uno schiaffo senza mani.
Talmente presi ci si rese conto
d'essere un'allegoria soltanto quando
ci capitò di dire, indicando il soffitto col naso,
di dire "Noi due" e ci marmorizzammo.
La corda tesa, amò l'arco
e la tempesta la schiuma,
il cuore amò se stesso,
ma noi non divagammo.
L'animo umano è nulla se non è
una pietra da scalfire ricavando
i capelli e il suo bel piede.
Era la collisione, il primo scontro epico,
perché non scritto ma cavalcato a pelo,
ed ognuno esigeva
la terra dell'altro,
le mani, la terra, la carne, il terreno.

03   Tubinga (04:54)

Da qualche tempo è recente anche l'antico.
Il disco del Discobolo è cromato.
Nella testa di Seneca si sente
il motorino di un frullatore.
Nelle piramidi continuamente
scatta un otturatore.
E in te Tubinga, in te non c'è un juke-box e non un tostapane.
Tu mi risparmi d'essere testimone antico e recente
delle istruzioni lette attentamente.
Non un tasto in comune, non un percorso,
passando per bi e ci dalla a alla di.
non un cablaggio, non una connessione.
Non la contemplazione, nemmeno l'esperienza.
Ma una delicata, leggera confusione
perché mi sfugga come una stoltezza
l'invocazione a te, mio generale, mia generalessa.
E al posto del carattere.
E al posto del carattere, mia cara,
poniamo una tempesta, un caso esterno,
un alto mare che i giorni, i mesi e gli anni
inseguono e non possono afferrare.
Io decorato di passamanerie come un divano
per dirti siediti, distendi le tue gambe
ed usura il tessuto col tallone,
poi dormici su che poi, quando ti svegli,
parlandoti di me ti dirò "Egli.
Egli è qui. È qui ed ora" e non ti dirò altro.
Non parlerò di stili e di reliquie.
Tutto è recente come uno squillo di sveglia.
La data più vicina è un dormiveglia.
E al posto di cose ci sono le cose.
Poniamo le cose esaurite, le stesse.
E dopo le stesse mettiamo le cose
se le medesime vanno esaurendo.
Un bel poligono al posto della stella
e nel quadrato il tondo andando bene.
Nel coraggio di Achille le rotelle
per fare l'orlo alle pastarelle.
E supplicante l'immagine è morente,
narciso e dalia insetto galleggiante,
come pasto rimastica le spente
nature morte virtuosamente.
Ahi!
C'è qualcosa che cade
e una cosa sta su.
Ahi!
C'è del chiaro e del bruno c'è,
c'è una chiusa cosa in sé
fa un rumore un po' tacito.
Sembrerebbe il sussurro dell'acqua.
Ahi!
C'è qualcosa che odora,
una profumo non ha.
Ahi!
C'è del grande e del piccolo.
Una c'è fintantocché ce n'è un'altra che mormora.
Sembrerebbe il sussurro dell'acqua.
Ahi!
C'è qualcosa che chiude,
una schiude, una resta dov'è;
c'è
dell'asciutto e dell'umido
nelle cose, cosicché piatte l'une altre ripide.
Sembrerebbe il sussurro dell'acqua.

04   La bellezza riunita (05:07)

05   La moda nel respiro (04:22)

06   Stanze come questa (04:38)

07   Estetica (05:11)

È successo quello che doveva succedere.
Ci siamo addormentati, perché è venuto il sonno
a fare il nostro periodico ritratto.
E per somigliarci a noi
più che noi stessi, ci vuole fermi,
che appena respiriamo,
e mobili ogni tanto,
come un tratto
sicuro di matita. Ecco che siamo
la viva immagine di una
distilleria abusiva che
goccia a goccia
secerne puro spirito.
Noi dietro una colonna ridevamo per l'aneddoto,
e ci contrastavamo amabilmente
su aria, fiato e facoltà vitale,
su brio d'intelligenza,
sull'indole e sull'estro,
soffio, refolo, vento e venticello,
sull'essenza e sulla soluzione,
sul volatile e sulla proporzione,
sul naturale e sul denaturato.
E poi sulla fortuna.
La fortuna non c'entra
quando una cosa
per terra si posa.
E vale sia per l'estetica
che per l'allodola.
E lui continuava a ritrattare.
A ritrattare quindi.
E la reale
e doppia fisionomia nostra
spariva via
come una coppia annoiata di
visitatori da una mostra.
Noi dietro le sue spalle
ridevamo per l'aneddoto
mimetico, drammatico, faceto, ditirambico,
e ci contrastavamo amabilmente
su verde, rosa e viola del pensiero,
su mente giudicante,
su lampo e riflessione,
e sul limpido e il cupo e il commovente,
su coscienza e su allucinazione,
sulla celebre cena e gli invitati.
Colori che divorano colori
se lo spirito s'eccita,
per caso esilarando,
oppure ardendo,
bruciando bruciando.
E chi dei due
ha le parti fredde
cercando le tue.

08   La voce del viso (04:13)

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Altre recensioni

Di  voiceface

 Con Hegel Battisti è al capolinea, a meno che negli anni trascorsi abbia avuto la forza di andare oltre.

 Se siete coraggiosi compratelo. Se siete anche pazienti, ascoltatelo almeno venti volte.


Di  Darius

 Hegel, 1994, fu l’ultimo ruggito di un uomo che preferì senza proferire parola il semi-anonimato, l’isolamento, il silenzio stampa.

 I brani di Hegel sono dunque un tentativo di immedesimare, palesare, “umanizzare” un complicatissimo poema filosofico vincolato a una figura intellettuale ottocentesca adattandolo al contesto post-moderno di fine millennio.


Di  Abraham

 "Hegel è una magnificenza di presa per il culo, lo sberleffo definitivo, il commiato disinteressato di Battisti."

 "Peccato, perché 'Hegel' è il semplice connubio tra la mostruosità delle parole campate in aria senza posa ma con grazia smisurata da Pasquale Panella e le melodie azzeccate di Battisti."


Di  Battisti

 "Può Battisti far sposare il concetto filosofico del teologo Hegel al suo sulla musica e sull’amore? Egli non ha smesso di parlar d’amore."

 "Solo chi è stato al liceo può comprendere Hegel, mentre se chi ascolta l’album è un idiota allora ammetterà che chi ha scritto i testi ha scritto idiozie."