Si è parlato molto dell'ultimo periodo di attività (e anche di vita) di Battisti, misteriosamente fuoriuscito da luci di strobo, kermesse televisive e comparizioni pubbliche e auto-relegatosi in un cantuccio di oscurità e solitudine. Molto clamore destò la sua decisione di divorziare da Mogol, rescindere un decennale leggendario legame di melodie e poesie fra le più celebri della prima epopea di musica leggera tricolore e immergersi in un percorso artistico e creativo di ampio respiro internazionale.

L'album E già, pubblicato nel 1982, fu solo il primo episodio della rivoluzione sperimentale attuata da Battisti, una rivoluzione che includeva nel pacchetto la collaborazione con il filosofo Pasquale Panella, scarsa promozione dei lavori, quasi nessun singolo rilasciato, una totale assenza da palcoscenici e cantagiri e, soprattutto, un'eclatante abbraccio di sonorità elettronico-artificiali che già avevano invaso il panorama mainstream non solo anglo-americano (basti pensare alla corrente New Wave, al post-punk, al nascente synth-pop di collettivi come Depeche Mode, Erasure, Eurythmics e alle mescolanze fra questi e la stella già calante della disco) ma che tuttavia stentavano a farsi accogliere in un paese ancora fedele al pomposo classicismo della musica d'autore. Le vendite ne risentirono e i fasti degli anni Settanta declinarono inesorabilmente in hit-parade con le postmoderne creazioni battistiane che arrancarono faticosamente nell'attestarsi in modeste posizioni delle classifiche di fine anno. Ma, tralasciando per un istante qualsiasi conteggio commerciale, furono i pedanti critici a stroncare per primi l'enigmatica e repentina evoluzione (o involuzione) artistica di Battisti, compromettendone qualsiasi ripresa post-Mogol in grado di reggere le punte di diamante del fantastico idillio e storcendo le schizzinose narici di fronte all'incomprensibilità filosofico-ermetica della proposta di Panella.

A E già seguirono negli Ottanta Don Giovanni e L'Apparenza e si inaugurò l'ultima decade con La Sposa Occidentale, tutti lavori che - a parte una modestissima "ripresa" - non rappresentarono che la perfetta prosecuzione della volontà di Battisti di staccarsi dalla fastidiosa aura di menestrello d'Italia abbracciando una  manipolazione musicale e letteraria totalmente contrapposta agli ideali della società e della proposta culturale tricolore.

Hegel, 1994, fu l'ultimo ruggito di un uomo che preferì senza proferire parola il semi-anonimato, l'isolamento, il silenzio stampa, la sequela di copertine bianche, basse conquiste in classifica e la sanguinosa crociata di critici inferociti e filo-Battistiani della prima ora delusi: probabilmente il culmine dell'esasperata indagine filtrata dalla penna più abile di Panella, il disco sposa testi surreali, ermetici, di difficilissima comprensione a sonorità variegate e composite, non banalmente riconducibili a una vacua e sterile digressione dell'europop e nel synth-pop come affermato da molti esegeti. Le otto tracce proposte, una sorta di "caduta libera" nell'opera e nel pensiero dell'idealista tedesco non particolarme amato dai liceali costretti a studiarne la dottrina e a ripeterla all'orale di maturità, possono essere viste come la conclusiva e perfetta cartina tornasole dell'ultimo Battisti, ovvero un artista stanco dello sdolcinato melodramma à la italienne che vuole aprirsi alla novità senza cadere nel cliché e nel forsennato adattamento di una specifica moda globale (in questo caso le sonorità al sintetizzatore) al contesto della Penisola. Mantenendo intatto il cupo ermetismo del proprio isolamento, Battisti osa sperimentare ancora di più e cerca di fondere in un preciso unicuum la quasi impossibile comprensione e interpretazione delle liriche con sonorità che paiono smarrirsi in una strana frivolezza non assimilabile all'euforia o all'appagatezza. I brani di Hegel sono dunque un tentativo di immedesimare, palesare, "umanizzare" un complicatissimo poema filosofico (privo di strofe, ritornelli, bridge, intermezzi, ripetizioni e persino quasi "rappato" seppur senza il vigore e l'enfasi dei maggiori esponenti) vincolato ad una figura intellettuale ottocentesca adattandolo al contesto post-moderno di fine millennio, metaforicamente rappresentabile con le sinusoidi improvvise e repentine della musica elettronica. Fra le migliori proposte dell'ultimo Battisti, non così artificiose e computerizzate come narrato dai più, non possono non essere menzionati Almeno l'Inizio, costruito su una base euro-pop con motivetti techno-funky, l'estatica e quasi robotica La Voce del Viso, come anche l'indagine trip-hop de La Bellezza Riunita e di Hegel.

Hegel non poteva che concludere definitivamente una sperimentazione riuscita dal punto di vista artistico e creativo tuttavia semi fallimentare se paragonata alle lucrose accoglienze dell'idillio con Mogol. Anche se snobbata, la produzione di Battisti nei Novanta era sempre attesa con trepidazione e il mancato annuncio di un erede a Hegel fece nascere una montagna di menzogne, pesci d'aprile e rumors inconsistenti, primo fra tutti la colossale presa in giro di un probabile nuovo lavoro dal titolo L'Asola (che in realtà andava letto come "La Sola", ovvero "fregatura" in romanesco). Il misterioso decesso del menestrello, avvenuto nel 1998, pose definitivamente fine a uno dei capitoli più felici del nostro panorama musicale, un panorama per il quale oggigiorno c'è bisogno come il pane di un secondo Battisti in grado di andare oltre le convenzioni, rifiutare la visibilità ipocrita di televisioni e rotocalchi scandalistici, guardare al di là delle Alpi e stendere un reale ed effettivo ponte sullo stretto di Messina fra il noi e gli altri.

Lucio Battisti, Hegel

Almeno l'Inizio - Hegel - Tubinga - La Bellezza Riunita - La Moda nel Respiro - Stanze come questa - Estetica - La Voce del Viso

Elenco tracce testi e video

01   Almeno l'inizio (04:57)

02   Hegel (05:15)

Ricordo il suo bel nome: Hegel Tubinga
ed io avrei masticato
la sua tuta da ginnastica.
Il nome se lo prese in prestito dai libri
e fu come copiare di nascosto,
fu come soffiare sul fuoco.
Cataste scolastiche: perché?
Quando tutto è perduto non resta che la cenere e l'amore;
e lei nel suo bel nome era una Jena.
Chi di noi il governato e chi il governatore
son fatti che attengono alla storia.
Chi fosse la provincia e chi l'impero
non è il punto:
il punto era l'incendio.
Erano gli esercizi obbligatori estetici,
le occhiate di traverso, e tu guardavi indietro;
c'eravamo capiti, capiti all'inverso.
Ci diventammo leciti per questo.
D'altronde, d'altro canto.
A volte essere nemici facilita.
Piacersi è così inutile.
Un bacio dai bei modi grossolani
sfuggì come uno schiaffo senza mani.
Talmente presi ci si rese conto
d'essere un'allegoria soltanto quando
ci capitò di dire, indicando il soffitto col naso,
di dire "Noi due" e ci marmorizzammo.
La corda tesa, amò l'arco
e la tempesta la schiuma,
il cuore amò se stesso,
ma noi non divagammo.
L'animo umano è nulla se non è
una pietra da scalfire ricavando
i capelli e il suo bel piede.
Era la collisione, il primo scontro epico,
perché non scritto ma cavalcato a pelo,
ed ognuno esigeva
la terra dell'altro,
le mani, la terra, la carne, il terreno.

03   Tubinga (04:54)

Da qualche tempo è recente anche l'antico.
Il disco del Discobolo è cromato.
Nella testa di Seneca si sente
il motorino di un frullatore.
Nelle piramidi continuamente
scatta un otturatore.
E in te Tubinga, in te non c'è un juke-box e non un tostapane.
Tu mi risparmi d'essere testimone antico e recente
delle istruzioni lette attentamente.
Non un tasto in comune, non un percorso,
passando per bi e ci dalla a alla di.
non un cablaggio, non una connessione.
Non la contemplazione, nemmeno l'esperienza.
Ma una delicata, leggera confusione
perché mi sfugga come una stoltezza
l'invocazione a te, mio generale, mia generalessa.
E al posto del carattere.
E al posto del carattere, mia cara,
poniamo una tempesta, un caso esterno,
un alto mare che i giorni, i mesi e gli anni
inseguono e non possono afferrare.
Io decorato di passamanerie come un divano
per dirti siediti, distendi le tue gambe
ed usura il tessuto col tallone,
poi dormici su che poi, quando ti svegli,
parlandoti di me ti dirò "Egli.
Egli è qui. È qui ed ora" e non ti dirò altro.
Non parlerò di stili e di reliquie.
Tutto è recente come uno squillo di sveglia.
La data più vicina è un dormiveglia.
E al posto di cose ci sono le cose.
Poniamo le cose esaurite, le stesse.
E dopo le stesse mettiamo le cose
se le medesime vanno esaurendo.
Un bel poligono al posto della stella
e nel quadrato il tondo andando bene.
Nel coraggio di Achille le rotelle
per fare l'orlo alle pastarelle.
E supplicante l'immagine è morente,
narciso e dalia insetto galleggiante,
come pasto rimastica le spente
nature morte virtuosamente.
Ahi!
C'è qualcosa che cade
e una cosa sta su.
Ahi!
C'è del chiaro e del bruno c'è,
c'è una chiusa cosa in sé
fa un rumore un po' tacito.
Sembrerebbe il sussurro dell'acqua.
Ahi!
C'è qualcosa che odora,
una profumo non ha.
Ahi!
C'è del grande e del piccolo.
Una c'è fintantocché ce n'è un'altra che mormora.
Sembrerebbe il sussurro dell'acqua.
Ahi!
C'è qualcosa che chiude,
una schiude, una resta dov'è;
c'è
dell'asciutto e dell'umido
nelle cose, cosicché piatte l'une altre ripide.
Sembrerebbe il sussurro dell'acqua.

04   La bellezza riunita (05:07)

05   La moda nel respiro (04:22)

06   Stanze come questa (04:38)

07   Estetica (05:11)

È successo quello che doveva succedere.
Ci siamo addormentati, perché è venuto il sonno
a fare il nostro periodico ritratto.
E per somigliarci a noi
più che noi stessi, ci vuole fermi,
che appena respiriamo,
e mobili ogni tanto,
come un tratto
sicuro di matita. Ecco che siamo
la viva immagine di una
distilleria abusiva che
goccia a goccia
secerne puro spirito.
Noi dietro una colonna ridevamo per l'aneddoto,
e ci contrastavamo amabilmente
su aria, fiato e facoltà vitale,
su brio d'intelligenza,
sull'indole e sull'estro,
soffio, refolo, vento e venticello,
sull'essenza e sulla soluzione,
sul volatile e sulla proporzione,
sul naturale e sul denaturato.
E poi sulla fortuna.
La fortuna non c'entra
quando una cosa
per terra si posa.
E vale sia per l'estetica
che per l'allodola.
E lui continuava a ritrattare.
A ritrattare quindi.
E la reale
e doppia fisionomia nostra
spariva via
come una coppia annoiata di
visitatori da una mostra.
Noi dietro le sue spalle
ridevamo per l'aneddoto
mimetico, drammatico, faceto, ditirambico,
e ci contrastavamo amabilmente
su verde, rosa e viola del pensiero,
su mente giudicante,
su lampo e riflessione,
e sul limpido e il cupo e il commovente,
su coscienza e su allucinazione,
sulla celebre cena e gli invitati.
Colori che divorano colori
se lo spirito s'eccita,
per caso esilarando,
oppure ardendo,
bruciando bruciando.
E chi dei due
ha le parti fredde
cercando le tue.

08   La voce del viso (04:13)

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Altre recensioni

Di  voiceface

 Con Hegel Battisti è al capolinea, a meno che negli anni trascorsi abbia avuto la forza di andare oltre.

 Se siete coraggiosi compratelo. Se siete anche pazienti, ascoltatelo almeno venti volte.


Di  GianlucaGT

 «Tutto è racchiuso all’interno dell’anima: l’emozione, la sofferenza, la gioia. Tutto chiuso ermeticamente.»

 «Un finale da brivido, l’apice della maturazione umana di un genio, un atto di conclusione che solo chi come lui poteva permettersi di immaginare.»


Di  Abraham

 "Hegel è una magnificenza di presa per il culo, lo sberleffo definitivo, il commiato disinteressato di Battisti."

 "Peccato, perché 'Hegel' è il semplice connubio tra la mostruosità delle parole campate in aria senza posa ma con grazia smisurata da Pasquale Panella e le melodie azzeccate di Battisti."


Di  Battisti

 "Può Battisti far sposare il concetto filosofico del teologo Hegel al suo sulla musica e sull’amore? Egli non ha smesso di parlar d’amore."

 "Solo chi è stato al liceo può comprendere Hegel, mentre se chi ascolta l’album è un idiota allora ammetterà che chi ha scritto i testi ha scritto idiozie."