Mark Knopfler, in primis discepolo di J.J. Cale, poeticamente diretto discendente di Bob Dylan ma intenso anche quanto Clapton, ha sempre avuto come spada di Damocle sulla propria testa, l’accostamento a tanti altri insigni artisti che per lo stesso Knopfler hanno rivestito un ruolo di riferimento e che pur se anagraficamente vicini, hanno avuto la capacità e la fortuna di affrontare il mercato discografico già in giovane età, mentre una non comune avvedutezza e perseveranza hanno portato il nostro, a misurarsi con una discografia ufficiale in età già matura, recuperando e giovandosi alla grande degli anni di gavetta trascorsi. Abilità e consapevolezza dei propri mezzi hanno sempre distinto un cammino artistico insolito, permeato da un senso pratico che ha permesso a Knopfler di assimilare stili e generi a lui più confacenti, poi elaborati secondo un personale istinto che solo con gli anni, ha contribuito ad allontanare l’immeritata etichetta di ennesimo imitatore. Una discografia solista (da cui se ovviamente escludiamo le colonne sonore) ha avuto nel buon GOLDEN HEART il primo passo, ha visto gli anni 2000 come testimoni di una regolare produzione musicale e relativa attività live di promozione.

Basta far poggiare la puntina sul vinile o far partire il tasto play per il cd (sia il disco con buco nero al centro che per il dischetto in alluminio, 13 brani, seppur in ordine differente) di quest’ultimo lavoro, per rendersi conto che sebbene tre anni siano appena trascorsi dall’ottimo TRACKER (2015 – Mercury/Virgin Verve) e ben sei dal quel capolavoro dal titolo PRIVATEERING (2012 – Mercury/Universal), la costanza stilistica del musicista scozzese, scivola ancora una volta sui noti binari di una narrazione fluida e scorrevole, che ha come pilastri imprescindibili l’abbeverarsi alla sorgente della sincerità compositiva e dell’onestà delle proprie storie. Brani, dove a primeggiare, è una scorrevolezza narrativa in cui si intrecciano ironia ed esperienza e gli strumenti hanno il compito di vestire in maniera endemica racconti dal piglio personale. Una panoramica musicale che pur non rimandando al senso di infinito dell’immagine di copertina, è in grado di sintetizzare in note, la riuscita convivenza tra un grigiore tutto inglese e l’orizzonte a stelle e strisce, senza rischiare di intrappolarsi nella tela dei cliché del già sentito.

Le immagini di un serioso ma libero Knopfler a bordo della sua motocicletta, fanno da supporto a “Good On You Son” che scelto come apripista all’album, si rivela astutamente accattivante, ricreando una magica atmosfera in cui la chitarra tesse un fine ricamo ritmico e piacevoli melodie, senza nascondere nel centrale break strumentale l’ombra di quella “Boom Like That” che aveva illuminato SHANGRI-LA quasi una quindicina di anni prima. Pur non ravvisando la necessità di citare tutte le canzoni del disco, appare giusto evidenziare che con la cadenzata “Back On The Dance Floor” dal sapore surreale e sognante arricchita dalla luminescente voce dell’irlandese Imelda May, il gradimento dell’ascolto subisce un impennata considerevole, come con l’interpretazione di “Just A Boy Away From Home” (per cui Mark prendendo a prestito parti di “You’ll Never Walk Alone” ricorre ancora alla formidabile accoppiata Rodgers ed Hammerstein II, come fu con “The Carousel Waltz” per “Tunnel Of Love” in MAKING MOVIES nel 1980!), che si dimostra senza sforzo un chiaro esempio di come la semenza blues appresa dal chitarrista, abbia poi avuto modo di germogliare in maniera colorita, attraverso dedizione ed esercizio sin dalla giovane età. L’aria da piano-bar di “When You Leave” lascia presagire la presenza di ulteriori brani soffici e dimessi ma in grado di coinvolgere come “My Bacon Roll” o ”Floating Away” ove le melodie della chitarra, ben si sposano con il piano che non si accontenta di un ruolo di secondo piano. Testimoni di una eterogena panoramica di stili lo sono l’ammiccante “Nobody Does That” in cui la vena funk dello Stevie Wonder più raffinato sembra prendere forma, così come la sezione fiati di “Heavy Up” trasmette più di una reale sensazione di sentire refoli giamaicani, mentre l’energica “The Trapper Man” ci conferma (ma ve ne era forse bisogno?) un Knopfler ancora capace di suscitare brividi nella schiena, piazzando un assolo pressoché perfetto.

Nel 2018 i fan del Mark della prima ora sarebbero stati ben lieti di assistere ad una sana riesumazione della band di “Lady Writer” e “Romeo and Juliet”, vuoi per la ricorrenza del quarantesimo anniversario dell’album di esordio, ma anche per l’introduzione nella Rock’n’Roll Hall of Fame di Cleveland avvenuta ad Aprile, ma purtroppo non se ne è fatto nulla. Con l’uscita di DTRW Sir Mark Knopfler da Glasgow consegna ai suoi fedeli sostenitori un prodotto in piena linea di continuità con il suo imprescindibile bagaglio musicale divenuto oramai patrimonio dei dischi precedenti, facendo ancora una volta trasparire una maggiore attitudine verso sonorità semplici e che fanno tesoro della tradizione, diffondendo qua e là tra i quasi 80 minuti di musica - nella versione deluxe, - educati accenni ad un passato che torna a risplendere però solo nei concerti, senza far mancare al mercato, un disco di qualità ed ispirazione artistica altissime, degne di un vero.

Carico i commenti... con calma