Signore e signori, Sir Mark da Glasgow è tornato.

E, come al solito, non ha affatto deluso gli amanti della grande musica.

Un altro album raffinato e di alta classe è stato sfornato da questo Artista che ormai sembra sempre più un impeccabile mastro artigiano e sempre meno un divo del rock.

I tempi dei gloriosi Dire Straits sembrano ormai svaniti da anni, ma ciò non significa che la sua musica abbia perso di valore. Anzi, sono convinto che nel cambio l'intero mondo musicale ci abbia guadagnato.

Qui siamo di fronte ad un Artista che riesce ormai da anni a fondere in maniera sublime le melodie celtiche e le tradizioni folk della nativa Scozia e della vicina Irlanda, i ritmi blues e talvolta country della sempre amata America e qualche sprazzo di rock sempre godibile, mai del tutto ripudiato (ci mancherebbe!).

Probabilmente lo zoccolo duro dei fans dei Dire Straits, amanti del rock più classico, farà fatica a digerire e ad assimilare questo lavoro, come già fu per i precedenti "The Ragpicker's Dream" (2002), "Shangri-La" (2004), "All the Roadrunning" (2006) e "Kill to Get Crimson" (2007).

Per un buon numero di fans delusi, però, ce n'è un numero altrettanto cospicuo di entusiasti.

Se infatti il buon Mark, a sessant'anni suonati, si è perso per strada qualche vecchio irriducibile che si è sentito tradito dal suo nuovo corso musicale, è altrettanto vero che questa sua evoluzione lo ha avvicinato a numerosi amanti di musica country, folk e blues, che non possono non apprezzare l'eleganza innata con cui il Maestro fonde questi generi ed un buon gusto tutto europeo.

Ciò detto, va da sé che "Get Lucky" contiene ben quattro ballate dal sapore squisitamente celtico: la vivace "Border Reiver" d'apertura, la conclusiva "Piper to the End", dedicata ad uno zio morto in guerra ventenne, la delicatissima "Get Lucky", che dà il titolo all'album e che vede un dolcissimo flauto volare etereo sopra un armonico tappeto di chitarre rigorosamente acustiche (secondo il sottoscritto è questa la traccia migliore dell'album, gemma tra le gemme), "Before Gas and Tv", che rievoca tempi felici e una chitarra attorno a un fuoco.

C'è poi spazio per un blues classico che più classico non si può ("You Can't Beat the House"), per un accenno di rock ("Cleaning My Gun"), per la dolce e melodica "Monteleone", dedicata ad un liutaio, per le splendide "Hard Shoulder" e "Remembrance Day", nella quale, dopo un coro di bambini, torna per pochi secondi l'elettrica che ha reso unico Mr. Stratocaster, con le sue melodie ed il suo tocco da pelle d'oca.

In conclusione, circa cinquanta minuti di gran bella musica, certo non adatta per le radio di oggi né per essere relegata a mero riempitivo dell'aria o a sottofondo da supermercato. Per apprezzare appieno quest'opera (come le precedenti, del resto) occorre ascoltarla con attenzione, più volte, per coglierne ogni singola sfumatura.

Al sottoscritto è sembrato un album autunnale, dalle calde tinte pastello (a differenza della scintillante copertina, probabilmente la parte meno riuscita dell'album), dunque adattissimo all'imminente ingresso dell'autunno in una città purtroppo non molto in salute (ebbene sì, sono un aquilano doc).

Buon ascolto 

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