Sono trascorsi ben cinque anni dall'ultimo lavoro in studio della band statunitense (il pasticciato e approssimativo "St.Anger") e i "Quattro Cavalieri" (reclutato l'ex bassista di Ozzy Osbourne, Robert Trujillo, al posto dell'improvvisato Bob Rock) decidono di sfornare un nuovo album: "Death Magnetic".

L'artwork, tutto sommato abbastanza originale, si segnala per il ritorno al vecchio logo della band, abbandonato dal lontano 1991.

I Metallica, che dal "Black Album" in poi hanno sempre cercato di rinnovarsi, senza riuscirci praticamente mai con risultati degni del loro nome, decidono qui di fare un vero e proprio "ritorno al passato", costruendo un cd che (almeno sulla carta) dovrebbe rimandare alle sonorità di "...And Justice For All". Il risultato è, però, tutt'altro che convincente.

Il cd si apre con un battito cardiaco seguito da un inquietante arpeggio, preludio al riff convincente e incisivo di "That Was Just Your Life", brano che non stonerebbe in un "...And justice for all" se non peccasse di una certa ripetitività. Coinvolgente il ritornello.

"The End Of The Line" è il primo di una serie di passi di falsi di cui, purtroppo, la recente produzione dei Metallica abbonda. Le continue variazioni ritmiche della batteria di Lars Ulrich rendono il pezzo difficilmente digeribile, per non parlare del riff principale, tanto pomposo quanto scontato.

In "Broken, Beat & Scarred" i Metallica provano a offrire qualcosa di nuovo tirando fuori un pezzo sporco e rabbioso ma, allo stesso tempo, mediocre e privo di una linea melodica tangibile.

Le cose vanno un po' meglio, almeno dal punto di vista della linearità melodica, con la ballad "The Day That Never Comes", collage di idee provenienti da altri brani del gruppo ("Fade To Black" su tutte) e singolo trainante dell'album. Intendiamoci, anche qui non si può assolutamente parlare di una canzone riuscita ma, almeno, risulta piacevole all'ascolto.

La traccia n. 5 è "All Nightmare Long", a mio avviso, il pezzo migliore dell'album. Brano duro e caratterizzato da un ritornello tanto rabbioso quanto orecchiabile rappresenta forse ciò che ci si aspetterebbe dai Metallica del 2000, un gruppo in grado di fornire una musica di qualità pur rimanendo all'interno di percorsi sonori già precedentemente tracciati. Unica pecca della canzone è nella durata, sette minuti abbondanti sono decisamente troppi.

"Cyanide", è una cavalcata metal abbastanza riuscita pur non brillando per originalità. Ricorda vagamente le atmosfere di "Kill ‘Em All".

"The Unforgiven III", terza variazione sul tema della fortunata canzone contenuta nel "Black Album", è caratterizzata da un'inutile introduzione di piano e dal solito riff delle precedenti versioni. Se non altro cambia il ritornello in cui il cantato di Hetfield si fa molto melodico e interessante. Pur con le sue grossolanità (l'intro di piano su tutte) è un buon pezzo.

"The Judas Kiss" annacqua qualche buona idea in otto minuti di durata che sembrano meri esercizi di stile di Lars Ulrich, il quale non mantiene lo stesso ritmo per più di venti secondi. Ne scaturisce un brano troppo frammentato (oltre che troppo lungo) per poter interessare l'ascoltatore.

Con "Suicide & Redemption" i Metallica tornano a comporre un brano strumentale ma mai come negli strumentali si sente la mancanza di Cliff Burton, il quale sapeva dare un tocco di pathos unico ai brani strumentali del gruppo (la monumentale "Orion", tanto per citarne uno). Non che questa "Suicide & Redemption" sia brutta, anzi, però rimane sterilmente sospesa. La sola musica non basta a comunicare qualcosa all'ascoltatore, si sente il bisogno di un cantato di supporto, bisogno che, negli strumentali dei precedenti Metallica, non si sente mai.

Chiude il cd "My Apocalypse", brano discreto che si inserisce sulla stessa linea di "All Nightmare Long"; consumato professionismo e nulla più. Bello l'assolo di Kirk Hammett a metà canzone.

Tirando le somme di questo "Death Magnetic" si può dire che ancora una volta i Metallica non riescono a tirarsi fuori dal torpore creativo in cui sono immersi dal lontano 1991 e questo "amarcord", pur ben accolto dal pubblico, non deve essere confuso con un ritorno al genere che ha reso i Metallica grandi,  ma come l'ennesimo tentativo di raschiare il fondo di un barile in cui è stato raschiato già tutto.

Carico i commenti... con calma