I Metallica nel lontano ’86 erano un gruppo d’avanguardia nello scenario metal. Avevano, con un solo album (Kill ‘em All) istituzionalizzato il thrash metal (dei Motorhead) e inventato lo speed. Mentre con Ride The Lightning avevano fuso i due generi nell’Heavy metal, componendo brani possenti e veloci, di lunga durata e dall’impostazione quasi classicheggiante.
Il Successivo disco, Master Of Puppets, non inventa nulla ma porta le innovazioni ad un livello più alto, non ci sono riempitivi, tutte le otto canzoni che lo compongono sono fondamentali e rendono il disco una pietra miliare del metal e del rock in generale. È un disco duro, senza fronzoli, ma questa durezza (o meglio asprezza) non è fine a se stessa. Pur non essendo musicisti tecnicamente eccelsi, i quattro riescono a scrivere canzoni accattivanti, di livello superiore rispetto ad altri gruppi thrash. Oltre ai suoni aspri, è l’intento dei Metallica che colpisce: anche quando si tratta di semi-ballate la rabbia che hanno dentro viene fuori in modo quasi inconscio. E lascia il segno.

L’esordio è affidato a uno dei pezzi più bastardi del gruppo: Battery è un brano suonato a tutto gas: il riff folkeggiante iniziale diventa all’improvviso un trionfo di distorsioni il quale lascia spazio ad un riff assassino, pronto a far male. Ma ciò che più caratterizza il brano è la voce di Hatfield, rabbiosa, veloce, oserei definirla quasi “distorta”, che modella il brano a suo piacere. È una canzone molto heavy, molti fan del nu-metal potrebbero svenire solo dopo pochi minuti! Gia da qui si nota la nuova intelligenza musicale del gruppo che, pur ispirandosi molto a “Fight Fire With Fire” del disco precedente, impara a fare canzoni più di impatto, più compatte e solide! Questo brano spiega bene tutto l’andamento del disco; non si inventa nulla, ma si migliora il livello di strutturazione dei brani. Ora il gruppo conscio delle proprie capacità e sa sfruttarle. Segue la title track, epica opera metal di otto minuti. È uno dei brani più riusciti e meglio sostenuti del disco. Hatfield proclama “Obey Your Master” ma a differenza dei dischi precedenti egli non lo fa per aderire a ciò ma come denuncia al master che ci asservirebbe (politica?). Spicca l’assolo di chitarra d’accompagnamento, che pur essendo semplice, è davvero perfetto e commovente. Questa canzone è già mito, perfetta sintesi dello stile dei primi metallica, quelli di Cliff Burton, quelli veri, intenti solo a fare musica per avere una vita migliore, non a fare soldi. E la loro sincerità è strabordante, intensa, e l’ascoltatore se ne accorge durante il disco. “The Thing That Should Not Be” è un lento incedere verso gli inferi. Quello che perde in velocità lo guadagna in pesantezza; la voce di Hatfield ci illude con il suo fare gentile, ma appena le chitarre iniziano a rombare anch’essa cambia tono fino a diventare aspra. “Welcome Home (Sanitarium)” doveva essere la ballata di turno, ma sfalsa il suo obbiettivo diventando una delle più belle ed originali canzoni del gruppo. Parte dolce, ma ben presto inizia letteralmente a trasudare rabbia, nei riff potenti di Hammet e nella voce tiratissima. Il climax finale sopra l’andata di chitarre finale è la cosa più bella che un gruppo metal possa fare.
Segue la devastante “Disposable Heroes” forse il miglior episodio dell’intera carriera dei Metallica, al pari solo di “The Call Of Ktulu”. Le chitarre distorte, la batteria insistente, la voce rabbiosa e ancora una volta il testo politicizzato confluiscono in un magma sonoro ai limiti dell’umano. Non ci sono cedimenti, quasi nove minuti di furia cieca senza pause; le chitarre sono perfette per sorreggere la voce che declama la sua denuncia. è musica spigolosa, ostica, ma orchestrata perfettamente e perfettamente suonata. La chitarra taglia, non schiaccia i timpani. Granitica! “Leper Messiah” con il suo riff potente prosegue perfettamente il tema di Bttery e Disposable Heroes. “Orion”, brano strumentale, molto bello e ben orchestrato. Ottimo il livello armonico del brano. Nel finale la fuga di chitarre in crescendo si incide sopra il riff portante del brano. Suonata al funerale di Burton, è il requiem dei metallica, perfetto manifesto del lato classicheggiante, ma sempre moderno, del gruppo. Il finale “Damage, Inc.”, è uno scempio per i padiglioni uditivi. Batteria sferzante e voce tirata. Uno dei brani più estremi dei Metallica, soprattutto per la batteria che insiste fino al stenderti. Finale perfetto.

In conclusione, Master Of Puppets è un capolavoro, pur essendo di un genere non gradito a tutti, il fascino di queste canzoni è innegabile; è un disco ben scritto, suonato e a differenza dei precedenti, ben pensato e prigettato.

IL MIGLIOR DISCO DEL METAL.

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