[Ci segnalano che questa recensione compare anche su horrormagazine.it a firma Alessandro Carrara e su ciao.it a firma disu.]

Per il metal, gli anni ’80 sono stati uno dei periodi più profilici del genere: ogni era ha le sue pietre miliari, e Master of puppets dei Metallica è certamente una di queste.

Considerato da molti un capolavoro, basta ascoltare pochi secondi del primo brano per rendersi conto di avere a che fare con qualcosa di molto diverso da un semplice buon album di thrash metal. In quel periodo, subito dopo l’esplosione della new wave of british heavy metal e alla sua esportazione in California da parte di un giovane e promettente tennista danese chiamato Lars Ulrich, tutte le band erano impegnate a portare avanti questo discorso verso strutture armoniche e contrappuntiche sempre più complesse, perdendo però in qualche occasione l’energia e la rabbia del nuovo metal, tutto velocità e violenza. Questo non è certamente uno di quei casi: l’album trasuda, oltre a enorme maestria tecnica e compositiva, uno spirito di ribellione contro tutto e contro tutti, come si intravede subito dalla copertina, in cui è raffigurata la tematica principale delle liriche del disco: il burattinaio, cioè un’ entitità quasi sovraumana che manipola le persone per raggiungere i propri scopi, nelle varie Battery, Master of puppets, Welcome home (sanitarium), Desponsable heroes e Leper messiah, l’antagonista è la famiglia, la società dei “normali”, la droga, il governo e il militarismo e la religione (o meglio, chi sfrutta la religione per fini commerciali). Eccezioni di questo filo conduttore (quasi da concept album) sono The thing that should not be, canzone evidentemente riferita al mito di Cthulhu e Damage inc., manifesto programmatico del suono della band, un po’ come Whiplash dell’album d’esordio.

I motivi di questa scelta sono da ricercare principalmente nell’adolescenza di James Hetfield, autore della maggior parte dei testi, cresciuto in una famiglia appartente a un gruppo religioso molto oscurantista. Dal lato prettamente musicale si possono vedere gli elementi già presenti nel precedente album, "Ride the lightning", portati a maturazione: l’utilizzo delle chitarre acustiche in prologhi o interludi, l’ armonizzazione delle chitarre nelle parti solistiche abbinate a ritmiche thrash estreme sia a livello di velocità d’esecuzione (la velocità metronomica della title track è di 220 semiminime al minuto!) che di complicazione di diteggiatura e a una densità compositiva sorprendente (sempre prendendo la title track come esempio, in una canzone da otto minuti abbiamo più di venti parti ritmiche diverse, battute irregolari, due assoli, una struttura tripartita veloce-lento-veloce tipico dei concerti classici). Tutto questo rende il repertorio di questo album una sfida per ogni chitarrista, batterista o bassista che voglia suonare questo materiale.
Non è possibile tralasciare l’importanza di Cliff Burton, come compositore e musicista, in questo disco: in effetti per molti l’involuzione dei Metallica comincerà proprio da quella sfortunata notte sulle strade ghiacciate della Svezia quando l’autobus della band si ribaltò schiacciando quest’artista oggi pressochè ignorato dal vasto pubblico. In "Master of puppets" il picco di inventiva viene raggiunto nelle strumentali Orion e da The thing that should not be, dove è possibile dimostrare come un basso possa effettivamente suonare come uno strumento solista e guidare le chitarre dal punto di vista armonico, cosa che in questa epoca al confronto barbarica dal punto di vista musicale è considerato impossibile.

Tutto questo, ovviamente, non si trova in qualsiasi album di thrash metal, ed è forse per questo che nel 1986 il terzo album dei Metallica riusci a vendere più di un milione di copie senza avere un singolo né un video che trainasse il 33 giri, scelta allora dettata dalla politica del gruppo di non voler scendere a patti con la parte “commerciale” del mondo della musica, decisione che ahinoi fu revocata dall’album successivo fino a giungere ai livelli che oggi conosciamo.

In definitiva, Master of puppets è un ascolto obbligato per ogni amante del genere, ed è anche un ottimo antidoto per timpani ormai stressati da quello che oggi viene propinato come metal.

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