E' oscura la storia celata nei brani di questo album. Oscura come la brumosa notte portoghese nel villaggio di Antelejo. Come la storia del vecchio contadino che si sveglia all'alba, attraversa la distesa sassosa per poi impiccarsi al vecchio faggio. Autori di questa tragedia patetica sono i portoghesi Moonspell (Fernando Ribeiro voce, Ricardo Amorim chitarre, Mike Gaspar batteria, Pedro Paixao sintetizzatori, Sergio Crestana basso) alle prese con il loro quinto album: un album intarsiato di sperimentalismi e novità. Un'opera particolare, ma che potrebbe lasciare l'amaro in bocca a chi già prevedeva una seconda opera in stile Sin/Pecado, che vide il quintetto portoghese consacrato all'Olimpo del Gothic Metal. Mancheranno stavolta ottenebranti e fumose atmosfere lussuriose o armonie infernali traboccanti di sangue, poiché sostituite dalla fredda tragedia della vita di un villaggio come tanti che cela tra le sue facciate bianche e le sue viuzze sterrate un male di vivere rurale. Una storia fatta di corde, pallottole argentate, pillole magiche e radici di mandragora.

L'ouverture di questa storia è la title track "Darkness and Hope", un cammino trascinato e stentato che sa di polvere e lacrime, sorretto dalla decadenza monocorde delle chitarre. Con "Firewalking" si entra nell'alveo suicida delle brughiere lusitane, scortati da riff di chitarra sulfurei ed ossessivi, sui quali si impone baritonale il timbro del vocalist, spianando la strada al pezzo forte del disco. "Nocturna" è il gioiello dell'album: una gelida e crudele lirica da offrire a Lilith, regina della Notte, con una melodia trascinante ed altalenante incastonata tra accordi dal sapore Gothic Rock ed armonie crepuscolari al sintetizzatore, in una spietata e lacrimosa preghiera che precorre la caccia notturna.

La più catchy "Heartshaped Abyss" si snoda fluida e accattivante su un tappeto di chitarre, che ricalca le melodie profane tipiche di Irreligious, seguita poi con un salto decisamente più in alto da "Devilred", che porta le lievi sfumature tipiche della nuova era dei Paradise Lost: è la frenetica arrampicata di un organo di transilvanica memoria e di chitarre graffianti su per una rupe scoscesa. "Ghostsong" avanza struggente e tragica su un cupo background di chitarre e synth spettrali: è il fantasma della vecchia nonna che appare nella camera da letto del giovane nipote, al lume di candela.

Ecco che l'album perde di tono con "Rapaces", un brano che ha da offrire solo un senso di cliché e di già sentito, per quanto vanamente impreziosita da vocalizzi femminili. Si rialza il livello con "Made of Storm", un atroce amplesso erotico che sembra riportare atmosfere Gothic Rock che apparterranno a Night Eternal, non senza portare con sé le arie grevi e riarse di Irreligious. Rinveniamo tracce che ritroveremo in Memorial invece in "How We Became Fire?", che unisce all'incedere dei riff di chitarra le preziosità ombrose di un pianoforte ed un assolo che ricorda i lavori dei primi Paradise Lost con Gothic.

Si procede verso la chiusura con "Than the Serpent in my Hands", anch'essa senza nessuna sostanziale variazione: un altro brano proteso al cliché Moonspell, senza infamia né lode. L'album si conclude con un altro gioiello, "Os Senhores da Guerra", una interessante cover dei Madredeus: caratterizzata da un'andatura sostenuta ma quasi arrancata, dove la batteria ricorda il tamburo di una guerra perduta, dove il refrain ricalca un tetro canto intonato dai soldati per soffocare il dolore delle ferite, mentre procedono attraverso il campo di battaglia.

Per concludere, Darkness and Hope si presenta all'ascoltatore come una cruda poesia pietrosa, nuda, gelida. La poesia dell'oppio letale sotto il cuscino, del vecchio fucile puntato in gola mentre si guarda verso il sole, della pallida luna nel cielo incorniciata da un cappio di morte.

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