Da tanto, troppo tempo il vinilozzo di Diva non girava sul mio impianto stereo.

Oggi è giunto finalmente il momento di tirar via la polvere dai solchi e scrivere due pensieri sul disco, sulla band.

Rabbia ed aggressività sono le primissime parole che mi sovviene di associare ai grandissimi My Sister's Machine; credo che non siamo in molti sul nostro sito a conoscere i quattro ragazzi che unirono le forze nella uggiosa e grigia periferia di Seattle sul finire degli anni ottanta.

Guidati dal carisma e dalla iconica voce di Nick Pollock che si era già messo in luce nella seconda metà degli anni ottanta ponendo le solidissime basi, insieme all'indimenticabile Layne Staley, per la creazione del primo embrione degli Alice in Chains.

Ma le strade dei due amici si dividono presto; è tempo per Nick di muoversi da solo, di dare concreto sfogo alla sua voglia di musica ed il passo è breve.

Agli inzi del 1992 l'esordio è servito su di un piatto d'argento: dieci brani, equamente divisi sulle sue facciate del supporto in vinile, per una durata che sfiora i quaranta minuti. Minutaggio quindi non corposo; non si perdono in troppi orpelli, in troppi ricami e riempitivi ma si mira al sodo, al concreto.

Diva è un discone, il classico esordio con il detonatore in mano. Pronto ad esplodere con una furia disarmante da tanto incisiva.

Canzoni violente e vorticose che guardano i colleghi di Seattle; echi degli Alice In Chains, dei primi Soundgarden vengono immediatemente percepiti fin dalle prime note dell'opener "Hands and Feet". Le radici Metal della band si mettono in bella mostra, con un uso smodato del distorsore Fuzz nei tremendi assoli delle chitarre. Allucinate trame, balordi giri di note come avviene nell'assassina "I Hate You" della quale consiglio da visione del video che vale molto di più di altre mie parole!!

Voce ipnotica, tirata allo spasimo; micidiale e ficcante il lavoro di un basso che odora di Crossover. Mind Funk e Suicidal Tedencies gli altri termini di paragone di un disco che in breve giunge al termine. Non prima di essere passati dalla parti della rallentata e a tratti "melodica" (ma non melensa) "Wasting Time" che ancora una volta tira in ballo gli Alice In Chains.

Un nuovo lavoro l'anno successivo per I My Sister's Machine; l'altrettanto riuscito Wallflower. Poi la fine, la caduta definitiva, la resa. Ed è un peccato...

Ad Maiora.

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