Per Myles Kennedy il primo disco solista arriva a quarantotto anni e dopo tantissima musica suonata. La passione per le sei corde e per i Led Zeppelin nasce quando il giovane Myles non aveva neanche quindici anni. La sua prima e molto desiderata chitarra arrivò con i proventi del duro lavoro nelle stalle della tenuta di famiglia in Idaho. Nonostante il suo talento e le sue gesta siano dai più attribuibili in primis al rock e al metal, sono da sempre nelle sue corde anche il blues e il jazz. Nei primi anni della sua carriera, infatti, Kennedy si dedicò al jazz suonando per i Cosmic Dust, che gli consentirono anche di avvicinarsi al fusion.

Il frontman degli Alter Bridge ha tenuto decine di pezzi nel cassetto per anni, dato che gli mancava il coraggio di debuttare in solitaria. La leggenda narra che già mesi prima dell’uscita di questo suo album d’esordio, avesse già pronto il seguito (“The Ides of March”, che uscirà tre anni dopo).

“Year of the Tiger” è un concept album incentrato interamente sulla prematura scomparsa di Richard Bass, padre di Kennedy (Myles ha assunto il cognome del patrigno che ha cresciuto lui e il fratello dopo la morte del padre naturale), che avviene nel 1974, l’anno della Tigre, nel calendario cinese. Il signor Bass era ligio ai dettami del cristianesimo scientista e morì a causa di un’appendicite che si rifiutò di curare. Questa tragedia segnò il giovane primogenito e ne minò l’esistenza. Nell’intera tracklist troviamo la rabbia e l’incredulità, passando per la tristezza, arrivando in definitiva all’amara consapevolezza che la morte del genitore si sarebbe potuta sicuramente evitare. “Mother” è esplicitamente dedicata alla madre e coinvolge nel discorso l’intera famiglia, nonché le difficoltà che la stessa ha dovuto affrontare negli anni successivi il triste evento.

Musicalmente troviamo passione e variegatura. Si passa dal country della morbida “Haunted by Design”, nella quale si affrontano i demoni del passato, al malinconico blues di “Blind Faith”. Se con la opening “Year of the Tiger” si riflette sulle ombre e la tristezza portate dal quel maledetto 1974 tramite esplicite metafore (“On a cold, cruel July, we didn’t know when the pale horse would arrive”), si affronta il tema della dipartita tramite le meste strofe di “The Great Beyond” (“Just close our eyes, and sleep sweet dreams. Me and you with wings on our feet”). Non si nasconde il risentimento con “Nothing but a Name” e si cerca la redenzione attraverso l’altalena di vocalizzi di “Turning Stones”.

La voce di Kennedy porta la narrazione ad un livello emozionale ancora più alto e riesce a dare un’anima profonda al cantato di ogni pezzo, al di là del fatto che si tratti di un’esperienza di vita che coinvolge l’autore in prima persona. Il picco è raggiunto con la melodica “Ghost of Shangri La”, dolce e malinconica allo stesso tempo. I demoni non abbandonano chi ne canta la presenza e le lacrime invisibili sono asciugate da fantasmi buoni e onnipresenti.

Se le sonorità rockabilly di “Devil on the Wall” danno una lettura degli eventi più ottimistica e leggera, la splendida “Love Can Only Heal”, guidata da riff miagolanti, è un omaggio al Sig.Kennedy, guaritore delle ferite generate dal troppo amore che ha tradito chi l’ha sempre provato. Le ottave di Myles danno il meglio e di fatto archiviano le nuvole con “Songbird” e la closing “One Fine Day”, dimostrandoci che un buio tramonto condurrà ad un’alba luminosa.

“Year of The Tiger” è un disco che stupisce e frastorna, emoziona e conduce ad una nuova dimensione. Se ascoltato consapevoli di essere ben lontani dal rock e metal proprio degli Alter Bridge e del side project con Slash& and The Conspirators, questo lavoro diviene un viaggio andata e ritorno attraverso il vissuto più profondo di chi l’ha concepito e ha avuto il coraggio di esibirlo. La dimensione live assume un carattere ancora più intimo, tra improvvisazione e mimica facciale ed è un’esperienza che deve essere provata.

Nel complesso ascoltare questo lavoro vuol dire dare una carezza alla nostra anima e una pausa di riflessione alla nostra mente. E’ pertanto promosso a pieni voti. Senza ombra di dubbio.

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