"Oh that's very funny, because I'm Canadian and Neil Young is Canadian too" (un ragazzo evidentemente ubriaco riconosce le note di "Old Man")
Premessa: una recensione squisitamente inutile. Resto del parere in ogni caso che il significato inafferabile dell'arte si trovi specialmente nelle piccole inutilità del quotidiano.
Millenovecentosettantadue - Duemila(e)sette, a 35 anni dal suo parto questo "qualcosa", forgiato con la materia di cui sono fatti i sogni, persiste nel perpetuo tentativo di estorcermi un brivido: ho solo e sempre perso. Se è vero anche per voi che a ogni nota corrisponde un colore, un ricordo irrecuperabile, un battito di un cuore lontano mondi sommersi e miglia strapercorse, non sono dunque l'unico che fa di piccoli tesori come cotale opera un'ancora di salvezza, un rifugio corallino ove guardare solitario la grande catena di montaggio.
Assaporo la notte e i doni che porta, la freschezza dell'erba non tagliabile, gli squarci che per mia autoimposta sventura non potrò assaporare.
Il disco? Beh ma per descrivere il disco non servono tanti discorsi, non è assolutamente necessario ricamare questo sfondo bianco alla ricerca di una riga in più che non darà un peso diverso all'insentenziabile verdetto Divino: "Harvest" E' la musica, tanto quanto altri celestiali racconti del genere.
Trovo seriamente inefficace descrivere questa sensazione lunga 35/40 minuti canzone per canzone: più complessamente soddisfacente sembra invece carpire il brusco risveglio che essa provoca come un'unica grande possibilità, sfiorata, conquistata, dalle intangibili sfumature, non numerabili a meno che non si abbraccino concetti come "infinito alla meno uno" et simili.
"Did she wake you up
to tell you that
It was only a change of plan?"
Impossibile non restar folgorati dal macchiavellico siero che la musica è solita proiettare, abusiva ed esagerata, nel nostro labile sipario sanguigno; già averne sentito parlare risulta esser troppo tardi per monoliti della portata di "Harvest": vedo, posso scorgere quel fango che accompagna gli stivali del cowboy sino al mai troppo disdegnato uscio interiore, osservo la spontaneità con cui la natura, camaleontica, fa il suo dovere nel circo esasperato dei pianeti, approdo in quella che potrebbe essere la più fredda delle serate.
E ancora: la tundra, spiagge mai solcate e mai dimenticate, l'amore verso la vita e la consapevolezza che questo amore ci permette di sporavvivere giorno per giorno.
"Living in castles
a bit at a time
The King started laughing
and talking in rhyme."
Troppo bello per essere semplicemente vero.
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