Immer Etwas dei Nice Face è post-punk elettrogeno. Big Black e Suicide nell'incedere ordinato, Screamers nella strumentazione sintetica e nei ritmi marziali, un bel po' di Jesus and Mary Chain nel suono abrasivo generale, sonorità alla Ramones sparse in giro, un piglio spiccatamente garage-rock e lo-fi.
Quello che mi fa scrivere però è che al radicalismo delle band testé citate (se ne potrebbero aggiungere anche altre) fa qui da contraltare un tocco di melodismo in più, un melodismo minimale, elettronico, intelligente, restituito da una fresca e dosata componente synth-pop; non bastasse, è presente un'atmosfera non fredda/cyberpunk/futuristica come ci si potrebbe aspettare, ma uno spiazzante sound polveroso anni '70. Insomma 'na robetta.


Tutto è come se fosse filtrato da un unico grande fuzz pedal: le chitarre sono talmente fuzzate che sembra di stare esclusivamente in una selva di organi e synth (sebbene questi siano comunque presenti) e ciò, aiutato dal punkeggiare, rende meno sfaccettato e più "omogeneneizzato" il sound, a sfavore di una certa "complessità" sonora (che sarebbe risultata sicuramente più banale) e a favore di un minimalismo dominante. A ulteriore supporto di ciò la componente "low-fi" è portata a un livello parossistico, addirittura finendo spesso per restituire ben poco del brano.

Il sound monolitico sfocia in qualche modo così nel mantra, nell'abbandono (ma punk, quindi malsani).

A questo si contrappone la matrice schizofrenica di questa musica che, quando meno ce lo si aspetta, dall'ordinato ma inquieto ritmo marziale esplode in epilettici e brevissimi "solo" elettronici sparati a centinaia di volts.

La sensazione che permane dopo l'ascolto è di ordine geometrico: grandi poligoni di metallo fratturati e permeati da scosse elettriche continue che si fanno strada nello zuccherato liquido interstiziale.


Da un punto di vista concettuale c'è una sorta di cortocircuito (restando in tema): da una parte, il genere, tendente all'industrial, a volte porta a scenari di nevrosi post-industriale con persone annichilite da illusione e alienazione che si aggirano vaganti in deliri spastici di malata euforia, dall'altra c'è un mood decisamente scanzonato (del quale fanno parte i testi curiosi ma superficiali, su eventi personali del cantante) che pervade quasi tutto: il disco alla fine sembra prendersi poco sul serio e dà l'idea di un opera prettamente "estetica".

Le tracce sono tanto disastrate quanto irresistibili, una tira l’altra. Il citazionismo e la “derivatività” si sprecano ma la classe e la genuinità delle composizioni sanciscono, in una sintesi accattivante di una miriade di stili, per nulla scontata, una sopraffina e lodevole operazione di ripresa di un certo tipo di musica traslata ai giorni nostri, rendendo l’opera un sano divertimento.

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