Cinque ragazzotti scapestrati della proletaria periferia di Manchester che con uno stile fresco e originale si impongono in pochissimi anni sulla scena internazionale. Noel è un compositore geniale, Liam un frontman inimitabile per voce, carisma e personalità. I loro idoli sono gli intramontabili dei del rock'n roll anni 60-70: Beatles, Rolling Stones, Who, Kinks. Con questi presupposti era ovvio che gli Oasis siano diventati nel volgere di qualche anno i trascinatori del movimento britpop, e i modelli musicali di un'intera generazione. I loro primi tre album vendono più di 50 milioni di copie. A Knebworth 2 miloni di persone cercano di assistere alla loro esibizione (il 5% dell'intera popolazione britannica). E sfornano a ripetizione storici singoli del calibro di Live Forever, Wonderwall, Don't look back in anger, Champagne Supernova, Don't go away.

Questo piccolo sunto della storia primitiva degli Oasis serve per comprendere ancora di più la profonda crisi personale e creativa in cui versa il gruppo, agonizzante ormai da anni e anni: i continui problemi con l'alcool, la droga e la legge, il calo vistosissimo di ispirazione, l'età che avanza, la voce di Liam che si trasforma in un lamento roco e gutturale, i fiaschi e gli insuccessi. Insomma, gli Oasis non sono più quelli di una volta. Per niente. E l'ultimo lavoro, "Dig out your soul", lo dimostra ampiamente. Arrivati alle soglie del 2008, la band ha ormai perso ogni carattere di originalità. Oltre ai consueti e continui riferimenti all'opera dei sopracitati Beatles, Kinks ecc ecc, gli Oasis buttano nel loro calderone tutta l'esperienza britpop (ad esempio gli Stone Roses), e numerosi artisti di oggi (come i Chemical Brothers). Ma soprattutto sono ormai la copia di se stessi: quello stile scanzonato e strafottente che li aveva da sempre contraddistinti è stato ripreso e riutilizzato troppe volte, trasformandosi nella sbiadita e stanca ripetizione di schemi fissi e sempre uguali.

In questo album si salvano pochissime cose: la sorprendente "I'm outta time", davvero notevole se si pensa scritta da Liam. Quel tocco di sperimentalismo e psichedelia che contraddistingue alcune tracce ("Get off your hide horse lady", "Falling Down"). Il bel rock'n roll prima maniera della canzone d'apertura, "Bag it up". Il resto è palese testimonianza di un vuoto artistico e di una mancanza di idee che mi rattrista alquanto: il singolo di lancio che più scontato e più piatto non si può, canzoni copiate spudoratamente (prima fra tutte "Waiting for the rapture" presa pari pari dai Doors e "The Turning" da Cliff Richard ), canzoni di infima qualità usate senza un minimo di ritegno come semplici riempitivi (e mi riferisco alle varie "The Nature of reality", "Ain't got nothing", "Soldier on").

Insomma, l'album si commenta da solo. Non è un mio giudizio negativo su gli Oasis, che ho amato e apprezzato nella loro età dell'oro, ma un dato di fatto. Questo glorioso gruppo ha perso lo spirito e lo smalto degli inizi, per appiattirsi in una stanca e reiterata riproposizione della stessa solfa che dopo quasi due lustri risulta davvero insopportabile. Spero che chi li esalta ancora e asserisce con assoluta certezza il valore di questo disco, si ricordi che cosa sono stati e che cosa hanno rappresentato gli Oasis nel panorama musicale degli anni 90. Si ricordi cosa vuol dire un disco valido, un concerto memorabile, un pezzo ben riuscito.

Gli Oasis sono stati grandi, ma non per questo meritano incondizionatamente l'approvazione e il successo di cui, a mio parere ingiustamente, godono ancora oggi.

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