Gli OFLAGA DISCO PAX. Vengono da Cavriago “un paesino alle porte di Reggio Emilia” e ci raccontano che l’unione fa ancora la forza, che niente è perduto anche se “ci hanno preso tutto” , anche se le multinazionali hanno piantato i loro marchi nella storia tremenda ma dignitosa dei paesi dell’ Est Europa.

Un disco militante quello degli Offlaga ma zeppo di spunti sognanti, di momenti delicati, taglienti come solo i ricordi dolci sanno essere perché riposti in una zona della nostra mente collegata dritta la cuore, memoria che è passato condiviso e perciò ancora toccante. L’apertura è sospesa su accordi di 7° maggiore su cui il basso e la chitarra costruiscono uno spazio sonoro aperto che allontana ma non chiude la vicenda umana dello studente e di Kappler professore di agraria così soprannominato “visto l’ abito e lo stile”. Il cantato è saltato per un recitativo che ricorda i Massimo Volume ma che è soprattutto distanza nostalgica e ironica, la drum machine è un relitto tecnologico che sembra un telegrafo in perenne S. O. S. Enver e Robespierre (la settima traccia) paiono le uniche “canzoni” del disco; in cui la voce si modula e a tratti si affievolisce o grida, ma tutto il lavoro è retto da un costante misunderstanding ideologico che è il precipitato della passione politica in reazione con l’odierno. Come in "Khmer Rossa" in cui alla italiano si sovrappone una femminile voce slaveggiante che segna lo scarto entro la stessa visione del mondo. La parte centrale regala forse i momenti più alti, con "Cinnamon" rivisitazione di storia attraverso i gusti delle chewin gum, "Tono Metallico Standard" che sfronda le snobismo di certi sedicenti alternativi e Tatranky dolente presa di coscienza della fine del utopia socialista. "Piccola Petroburgo" contiene già nel titolo lo spirito del gruppo, parla infatti di Cavriago, e "de Fonseca" riporta al dettato minimalista della quotidianità come luogo di epifanie struggenti.

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