Premetto che la mia recensione non sarà un altro elogio (leccata di culo) al nono album in studio degli Opeth, né sarò professionale (per quanto ciò possa valere dal momento che non è mio mestiere recensire), ma più una sincera opinione su questo "Watershed" che a parer mio funge da linea di confine (ed in ciò non tradisce le aspettative dato che il lavoro è intitolato appunto "spartiacque") tra l'intera discografia precedente e ciò che verrà in seguito.

Questo perchè la band svedese non ha mai sbagliato un colpo fino e compreso "Ghost Reveries", e qui qualcosa è cambiato, tanto per cominciare la line-up. I nuovi innesti non lesinano in quanto a tecnica, ma sinceramente, se gli Opeth sono diventati (in realtà lo erano già in occasione del loro debutto "Orchid") la band straordinaria che tutti conosciamo non è solo grazie alle abilità strumentali. Martin Lopez (nella band sin dal bellissimo e glaciale "My Arms Your Hearse") era assolutamente a suo agio dentro il sound opethiano, col suo drumming intelligente, sofisticato e ricercato senza disdegnare pattern tellurici, supportati da una una tecnica e una precisione eccezionali. In ciò Martin Axenrot viene meno, per carità siamo di fronte ad un batterista con le palle, ma come molti temevano, il suo drumming è un po' troppo "pesante" e invadente in molti frangenti, poco attento alle sfumature e alle evoluzioni dei brani. Il nuovo chitarrista Fredrik Akesson (fresco dell'esperienza con gli Arch Enemy) non delude, ottimo anche in fase solista, ma se devo dirla tutta (rischiando anche di essere pedante) preferivo il buon Peter Lindgren. Quest'ultimo, unico membro originale rimasto oltre che Akerfeldt, per come concepisco il concetto di band, giocava un ruolo fondamentale nelle dinamiche del gruppo (anche se, come afferma Akerfeldt, negli ultimi anni non contribuiva alla stesura diretta dei brani, chissà per quale motivo!), per non parlare poi della competenza nel trattare la "materia opethiana" e della passione per il gruppo. Amore che ha dimostrato, quasi paradossalmente lasciando la band, per il disgusto verso il bussiness che pian piano la sta divorando, e ciò non fa altro che accrescere la mia stima verso questo musicista.

Ho amato e amo gli Opeth, pochi album sono stati capaci di farmi "sentire" ciò che ho provato con "Morningrise" e "Still Life", ed insieme alla musica del defunto e mai troppo lodato Chuck Schuldiner (cantante, chitarrista e leader dei Death e Control Denied, per quei pochi non lo sapessero, ma soprattutto uno dei più grandi artisti che la scena metal abbia mai accolto) hanno segnato indelebilmente la mia vita. Per questo motivo ascoltando per la prima volta questo "Watershed" è comprensibile se mi sia sentito profondamente offeso e preso per il culo. Senza scendere nei particolari (perchè già lo si è fatto abbondantemente), il disco mostra una pochezza di idee davvero imbarazzante; "Ghost Reveries" pur non essendo innovativo si presentava stracolmo di idee interessanti, caratterizzato da brani molto ispirati (come è lecito aspettarsi da ogni band ed in particolare dagli Opeth), in poche parole davvero uno splendido lavoro. Qui le buone idee sono poche, e suonano di reciclato e fortemente manieristico, e ciò si evince anche dal fatto che l'alternarsi repentino delle sezioni elettriche a quelle acustiche (trademark della band) suonano sterili, forzate. Basta ascoltare una "Porcelain Heart" per averne la prova, a mio avviso il peggior pezzo degli Opeth, e di certo neanche il video può risollevarne le sorti; un tempo bastava la loro musica per evocare scenari suggestivi, oggi si fatica a comprenderne il senso (e non per la complessità, sia chiaro). Che dire di più, mi sentirei di salvare la breve opener acustica "Coil", che paradossalmente con la sua semplicità (che si fregia dell'ottima prova vocale di Nathalie Lorichs per un riuscito duetto) riesce ad essere molto intensa, e la semi-ballad "Burden" rievoca elegantemente sonorità settantiane grazie anche al contributo di Per Wiberg alle tastiere e soprattutto ad un'ottima e piuttosto ispirata performance vocale di Mikael Akerfeldt. In conclusione devo dire che le mie considerazioni e la mia valutazione sono eccessive e da prendere con le pinze (e me ne scuso), una band di questo calibro non dà alle stampe un lavoro, oggettivamente parlando brutto, ma qui siamo di fronte ad un lavoro fondamentalmente scialbo e privo del pathos al quale ci hanno abituato. Io credo che una band di professionisti debba sempre dimostrarsi onesta e pubblicare un nuovo lavoro (a prescindere dal risultato, è ovvio) per gli addetti ai lavori ed quando ha davvero qualcosa da dire, nel rispetto in particolare nei confronti del pubblico, che compra i dischi (magari aspettandone spasmodicamente l'uscita), che va ai concerti, supportando sempre, anche dopo una cagata del genere, perchè la stima rimane, come la speranza di ascoltare al più presto un nuovo eccellente album degno del loro nome, "Opeth".

Anche se deluso non mi sento di abbandonare la nave... alla prossima!

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