Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare (tutta o in parte) anche su blackdiamondbay.it e su capital.it

E tocca adesso a questo vera e propria pietra miliare, stranamente assente da DeBaser: "Graceland' di Paul Simon rappresenta un vero e prorio evento musical-culturale destinato a "pesare" nella musica degli anni a venire (eh si, compresi questi). Registrato tra New York e Sud Africa questo disco ha venduto 14 milioni di copie e ha vinto nel 1986, anno della sua uscita, il Grammy Award come disco dell'anno. Terzo nella classifica americana, l'album è stato per molte settimane in vetta anche alle classifiche inglese e sudafricana e ha avuto, tra i tanti, un grande e immenso merito: quello di portare il sound del Sud Africa e un certo gusto per la contaminazione etnica in tutto il mondo (erano gli anni "buoni" e i segnali erano ormai dati, compreso lo strepitoso album "Cruze de Ma" di De Andrè che nel suo piccolo aiutò l'impresa).

Come racconta Paul Simon: "Graceland fu il frutto di una straordinaria capacità di comprendersi tra persone che si erano appena incontrate". Con questo capolavoro il mondo musicale di Paul Simon, fin'ora "relegato" a dolci pop songs e ballate quasi classiche, peraltro indimenticabili, si riempie di suoni, luci e colori di festa multi-etnica. Sono i colori del Sud Africa, cui Paul si rivolge in modo originale, sincero, aperto. In aperto contrasto con le direttive di boicottaggio ONU imperanti in quegli anni, Paul ingaggia musicisti locali che contribuiscono non poco a portare alla ribalta di un palcoscenico prettamente musicale, le problematiche dell'apartheid, arrivate ormai all'apice della tensione socio-politica. Come si può ascoltare, il risultato è strabiliante per la vena creativa di Simon e per la grandissima coesione del tutto: un vero caleidoscopio festoso di suoni, ritmi e colori con lo stralunato Paul a fare "quasi da ospite" a un disco che trasuda "poca americanità".

Le canzoni del disco sono quasi tutte memorabili, a volte oblique e scoordinate, con la voce suadente di Paul fagocitata da timbri tribali, da strumenti pulsanti e da ritmiche pestate che contribuiscono ad esaltarne la peculiarità in un contrasto che incanta non poco. Nella strana amalgama di artisti americani e africani (la qualità sonora e gli arrangiamenti sono curati alla perfezione), accanto ai coloratissimi e sconosciuti Ladysmith Black Mambazo (poi messi sotto contratto da Simon), artefici coreografici e vocali delle indimenticabili "Diamonds On The Soles Of Her Shoes" e "Homeless", ci troviamo i Los Lobos in "All Around The World. . . " troviamo Steve Gadd, Adrian Belew, ma anche gli Everly Brothers, Youssou N'Dour e lo splendido cameo delicato di Linda Ronstadt nel controcanto di "Under African Skies".Forse varrebbe la pena soffermarsi anche sui testi, pieni di apparenti frivolezze, di storielle esemplificative, ma francamente ä la cosa meno evidente e godibile di questo disco. Su tutte "Graceland", una bellissima marcia onirica verso cui far confluire il peregrinare delle nostre speranze, dei nostri sogni, musicali e non e la indimenticabile "Homeless" con bellissima intro a cappella (un'interpretazione da pelle d'oca!).

Simon, in seguito, provò a ripetere l'idea, andando in Brasile a registrare "The rythm of the saints": per quanto quest'ultimo sia comunque un ottimo disco con altrettanta splendida musica, la vetta compositiva e le felici intuizioni di "Graceland" rimasero ineguagliate.

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