PREMESSA ... La seguente è una recensione scritta di pancia, e molto spontanea, basata sul mio bagaglio culturale in riferimento alla produzione gabrelliana, in questo caso al primo lavoro solistico, che molto tempo fa ho già recensito, con scarso successo, per il quale mi prendo tutta la responsabilità, e di cui riconosco le ragioni. Ai tempi ero un "mero" appassionato e il mio stile di scrittura era, se non inesistente, perlomeno frammentario, o peggio didascalico e scoordinato. Con questa premessa, in ultimo, vi auguro una buona lettura, e spero che, qui, nella mia dichiarata spontaneità, abbia fatto meglio di un tempo, dando le dritte in maniera coinvolgente.

41 anni fa, il 25 Febbraio 1977, usciva per la Charisma Records (per la Atco negli USA e in Canada) il primo album solistico di Peter Gabriel, omonimo, come i tre che l'avrebbero seguito.

Il sound, in alcune canzoni, è ancora memore e debitore di certe suggestioni e strutture prog rock, per esempio l'apripista, "Moribund the Burgermeister".

Peter è diviso tra Toronto e Londra, per la registrazione del suo primo lavoro, per il quale si fa affiancare da molti musicisti americani, alcuni dei quali entreranno, più o meno stabilmente, nel suo entourage (Tony Levin fedelissimo suona il basso, e la tuba (in "Excuse Me"), oltre a dirigere il cosiddetto Barbershop Quartet, sempre in "Excuse Me".

Il produttore Bob Ezrin, che aveva già lavorato ampiamente con Alice Cooper e di lì a poco, nel '79, avrebbe fatto da co-produttore in "The Wall" dei Pink Floyd, aggiunge al rock corposo studiato dai musicisti e da Peter delle imponenti orchestrazioni, che a tratti, a detta dello stesso Peter, snaturano e appesantiscono i brani.

Robert Fripp (King Crimson) suona la chitarra; rischia l'esaurimento nervoso a causa dei tagli che Ezrin esercita, costringendolo a metter mano al proprio strumento in una maniera a lui non congeniale.

In alcuni brani si sente l'influenza di Bruce Springsteen e della E-Street Band, soprattutto in "Modern Love", graffiante pop rock, dalle venature rock n'roll, fortemente "americano".

Delle vere e proprie perle della produzione da solista di Peter compaiono già qui: "Solsbury Hill" (che mette a tema la decisione dell'artista di lasciare la band con la quale era al culmine del successo), "Humdrum" e "Here Comes the Flood" (che comparirà, in un'altra veste, più elettronica e "frippertronicizzata", in "Exposure", prima fatica solistica del chitarrista, che circa due anni prima aveva sciolto (temporaneamente) i King Crimson.

Un album necessario: ancora timido, derivativo, ma di valore.

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