Il romanzo inizia con con la giovane fidanzata (analfabeta) del professore protagonista (anziano) che viene presentata a Nathan Zuckerman, un suo amico (del professore accademico), mentre munge coscienziosamente una vacca… e finisce con Nathan Zuckerman che sta guidando lungo un’isolata strada di montagna, quando nota il pick-up dell’ex marito della fidanzata del professore, fermo lungo il bordo della carreggiata. L’uomo (l’ex marito) si è fermato a pescare in un lago ghiacciato...
“The Human Stain” pubblicato nel 2000, ed in Italia nel 2001 col titolo “La macchia umana” è (credo) il diciassettesimo romanzo di Philip Roth ed è anche il titolo dell’omonimo film interpretato tra gli altri da Anthony Hopkins, Nicole Kidman, Ed Harris e Gary Sinise, uscito nel 2003 (che io non ho ancora avuto il piacere di gustarmi, ma non demordo e prima o poi l’acciuffo di sicuro sempre che morte non sopraggiunga e qui tocchiamo ferro…), con la regia di Robert Douglas Benton, vincitore di 2 premi Oscar per il film “Kramer contro Kramer”.
Una curiosità Benton è quasi coetaneo di Roth essendo nato il 29 settembre 1932 mentre Roth lo nacque il 19 marzo 1933 ed è ancora vivo e vegeto mentre il ns PR purtroppo ci ha lasciati orfani proprio un anno fa rip.
Per una sola parola “spettri” che in slang americano determina spregiativamente le persone di colore, affibbiata a due studenti non presenti (senza sapere che fossero veramente dei “negri”, come vengono appellati anche qui da noi quando li si vuol offendere) la reputazione dell’esimio ed apprezzatissimo professore accademico (qui protagonista della vicenda) prossimo alla pensione, va in frantumi, a causa di un diffuso perbenismo e della negatività prodotta da un mal adoperato “political correct”, riaprendo un mistero tenuto da lui tenuto nascosto a tutti, familiari compresi, un mistero che si lega anche a questioni razziali, sociali e militari…
Il giornalista Michiko Kakutani ha detto che in questo libro, PR "esplora questioni di identità e di invenzione in quell’America che aveva già esplorato a lungo in precedenti lavori" e l’interpreta così: “I temi preferiti di PR come l’identità e la ribellione, i conflitti e le riforme generazionali non sono gli unici in questo libro che espone le fessure e le discontinuità della vita del ventesimo secolo... Spogliato delle sue sfumature razziali, nel libro riecheggia una storia che ha raccontato un romanzo dopo l'altro. In effetti, è solo la storia di Nathan Zuckerman qui nelle vesti di anziano scrittore protagonista anche in “Pastorale americana” e del successivo “Ho sposato un comunista” che con questo “La macchia umana” formano una sorta di trilogia, egli stesso (Nathan Zuckerman) è come PR un altro borghese del New Jersey che si è ribellato contro la sua famiglia e si è ritrovato esiliato, "non legato dalle sue radici" ma mentre Zuckerman agisce in gran parte come osservatore, il pofessore protagonista (parole di PR) sceglie di prendere il futuro nelle proprie mani piuttosto che lasciarlo ad una società non illuminata, per determinare il proprio destino.
Senza spoilerare, viene rivelato nelle varie riflessioni di Zuckerman a cui il professor Silk si rivolge per ottenere una solidale assistenza, che lui (il professore) è un afroamericano che si è fatto "passare" come ebreo nel suo periodo in Marina e dopo aver completato gli studi, ha sposato una donna bianca con cui ha avuto quattro figli, non ha mai raccontato a sua moglie e ai suoi figli della sua discendenza afroamericana… e ehm, il resto lo troverete nelle sue avvincenti pagine.
Dulcis in fundo come ci avverte stringatamente wikipedia (eeh ormai, no wiki no party): “Il tema centrale, che sta dietro a tutti e tre i romanzi, è dunque nuovamente la finzione e l'ipocrisia cui ci costringono le convenzioni sociali.” e io confermo.
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