Come sta il Presidente della Repubblica
noi ci auguriamo caldamente
assieme a tutti gli Italiani
che egli goda buona anzi ottima salute
ed attenda con impegno
al suo mandato altissimo.

Come sta il Presidente della Repubblica? A chiederlo sono i Picchio Dal Pozzo, una delle più grandi band italiane progressive, giunti qui alla seconda fatica discografica (o la terza, dipende dal formato preso in considerazione), dopo il fantastico esordio omonimo, quel "Picchio Dal Pozzo", storia di un ragazzo di nome appunto Picchio, tra paesaggi fantastici e sognanti. Qui sembra essersi spostati dalla foresta incantata, in direzione della la città, con i suoi rumori e prese di coscienza, che il mondo vero non è una favola ma una dura realtà, a volte molto triste. E quindi come sta il Presidente? La sua salute sta a cuore a tutti noi, perfino a quel Picchio che qualche anno prima vagava tra i boschi fatati insieme a Rusuf, e per lui quello era il suo mondo, ora sta a cuore la salute della sua nazione. E se ne preoccupa con il solito sound, figlio dei migliori Caravan Canterburiani e di Zappa, ma stavolta più concreto e ritmato rispetto a prima, come se influenzato dal cambio d'atmosfera, ora più frenetica. I brani, non solo questo, sono molto più lunghi con escursioni che sembrano infinite, free jazz che non ha nulla da invidiare ai tanti americani leader nel genere.

Dove la spiaggia incontra una nave
che cerca riparo nel mare d'Irlanda
e una banda cammina suonando la schiuma
di un soffio di vento
mi pento di avere lasciato
le orme bagnate di scarpe chiodate
sul nostro bisogno di tempo.

Ed ecco il tempo fermarsi, in una mattinata grigia, una domenica mattina, soli, con un "frac demodè" dove l'unica musica udibile è quella della schiuma del mare che si infrange contro la nostra malinconia. Siamo davanti al mare d' Irlanda, enorme, freddo, che neanche un sax può mitigare, c'è solo il tempo di pentirsi di aver lasciato "le orme bagnate di scarpe chiodate sul nostro bisogno di tempo." Visioni di scogliere e di nuvole, echi di bande e la voglia di viaggiare, non per piacere, ma per trovare rifugio, forse in quello stesso cielo grigio. E intanto una voce ci porta con la solita monotonia attraverso questa cantilena gentile e melanconica, piena di risentimento e di consapevolezza che, anche se così grande ed enorme, il mare d'Irlanda non può più bastare.

Un giorno anch'io avrò la mia casa
la costruirò con le mie mani
andrò nella strada più buia che c'é
sposterò anche le macchine
in un centro a quadrato

Tristi per il mare Irlandese ci spostiamo verso altre tonalità di grigio, quelle della città. Qui c'è la voglia di cambiarla, di renderla più umana e sensibile, o forse il bisogno di crearsi da sè un luogo familiare e che almeno ci isoli dalla sua triste monotonia. Un luogo riconducibile alla nostra personalità e alla nostra. Il testo però fu preso da un muro in periferia di Torino, fotografato e messo in musica senza alcuna modifica, se non per la terza e ultima strofa che fu aggiunta. Nel finale da notare è l'assolo di sax, in un crescendo che porta dritti alla terza strofa, in cui sembra davvero un collage di parole messi in ordina casuale, in piena arte PDP, con un sax finale che mesto mesto chiude la traccia "Città".

Solo in un gran boulevard
io leggo quel che sarà
ad una donna
che mi assomiglia un po'.

Così inizia l'ultima vera traccia dell'album in questione (che anticipa la breve e conclusiva "The Irish Ghost" ). Una vera e propria suite, dal nome un pò spiazzante: "Pinguini". Musicalmente è il brano più complesso e articolato di tutto il lotto: una vera progressione free jazz, in cui, alla scuola di Canterbury si aggiungono anche cenni di Space Rock e sperimentazioni simili a quelle tedesche, con interventi vocali tipicamente stralunati, che conferiscono quell'aria da sogno terreno alla traccia. Davvero una delle tracce più belle del Progressive italiano.

Fanno un gran dire che
i pinguini eleggono re
chi vive solo in un vecchio
frac demodé.

E poco importa chi siano realmente questi pinguini, se siano realmente animali artici o semplici persone che indossano vecchi frac demodè.
Forse hanno a che fare con la politica, si forse dev'essere tutta una metafora pensi. Il solo consiglio che posso dare è di non affannarsi troppo alla ricerca di un significato o di cosa. Non prendeteli troppo sul serio questi Picchi, neanche loro lo fanno con sè stessi, e di gustarsi piuttosto l'ennesimo capolavoro di una band veramente sottovalutata della nostra scena prog.
Secondo solo all'omonimo. Voto 4,4.

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