"Piccole passeggiate circolari nella valle della speranza" si candida ufficialmente al premio "Che cazzo avranno voluto dire con 'sto titolo?", edizione 2008/09.
Se non altro fa molto "post"...
Se poi ci aggiungiamo una copertina che pare un fotogramma de "Il Settimo Sigillo" su cui sia stata appiccicata l'etichetta di una di quelle caramelle spugnose che vendono al cinema (uno dei peggiori accostamenti che mi sia capitato di vedere dai tempi del tanga della Laurito), diciamo che le premesse all'ascolto di questo disco d'esordio non sono state delle migliori...
La rotta che questi Pilgrim Fathers (quintetto di studenti della scuola d'arte di Nottingham) paiono voler intraprendere è quella di una strana razza bastarda di space rock costruita su architetture musicali frastornate e maltrattate, in cui la linearità della tipica forma-canzone lascia il posto all'andamento sinusoidale e schizoide di una montagna russa.
Un disco in cui passaggi languidi, carichi di esasperata melodrammaticità, evidentemente debitori a certe impalpabili atmosfere pink-floydiane o a certi paesaggi dilatati à là Mogwai ("Great North Road"), fanno da contraltare ad improvvise detonazioni di matrice post core ("Old Man Time In The River of Rhyme").
Un pastiche musicale dallo spettro sonoro amplissimo, che parte da certi bluesacci strascicati e straccioni (mutuati alla tradizione hard rock dei seventies, con tanto di hammond messo in bella mostra), per giungere a furiose cavalcate chitarristiche su cui si innesta tutto un turbinare di echi, riverberi, voci filtrate, effetti speciali rubati al parco giochi di Dik Mik e scenari da canto gregoriano dell'iperspazio...
Un disco tutto sommato non privo di fascino, che, giocando sui contrasti, sull'incontro-scontro di elementi musicali diversissimi, riesce nell'impresa di dipingere atmosfere ammalianti, aliene, ma anche tese, dolorose, in equilibrio precario tra paranoia e sogno ("None Hands Of The Octopus").
Eppure questo "Short Circular Walks..." continua a non convincermi del tutto...
Forse, è lo stesso "progetto musicale" che sta alla base del disco a lasciarmi perplesso, quel suo assomigliare pericolosamente ad un patchwork sonoro fin troppo insistito, ad un esasperato, ossessivo copia-incolla di riff, cambi di tempo, stili, generi... Un mosaico le cui tessere sono sì affiancate le une alle altre, ma senza che vi sia un vero collante ad amalgamarle fino a formare una figura unitaria.
Un disco, insomma, che, proprio come le "piccole passeggiate circolari" del titolo, sembra intraprendere tante, forse troppe strade, senza però arrivare davvero da qualche parte...
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