Il primo long-playing dei Pink Floyd vede la luce sotto l’egida del più umorale talento della musica inglese post-beat: Syd Barrett. Sgrammaticato chitarrista e cantante, compositore avanti-lettera, radicalizzò assieme ai Pink Floyd quegli aromi psichedelici che l’Inghilterra, a cavallo di due decenni musicalmente così fertili, proponeva.

Kinks, Donovan , Rolling Stones battezzavano lo spirito psichedelico  per lo più attraverso pose estetizzanti e arrangiamenti bizzarri, i Pink codificarono invece la grammatica della musica popolare europea  attraverso le esperienze delle nuove istanze Californiane, essendone a loro volta ispiratori.  
The PATGOD è il 33 giri meno esemplificativa del percorso discografico Pinkfloydiano. Un’irrisolta opera malferma che acceca per l’ispirazione del bandleader, per la tridimensionalità del basso di Waters, per la perizia di Wright - diavolo ed acqua santa all’organo e al piano - e per il primitivismo da foresta pluviale del titanico Mason.

L’esilio narcotico del giovane chitarrista li svuotò quasi del tutto della loro emergenza creativa. Nel corso dei ’70 si ridussero , tranne che per una piccola manciata di lp, a professionali esecutori di psichedelia da salotto.
"Astronomy Domine"  il pezzo d’apertura, è tutto un pulsare di frequenze intergalattiche e fendenti di chitarra. Il basso produce note che paiono voler rimanere sospese e che , assieme ad un solenne drumming, situano l’ascoltatore in una messa dalla liturgia eretica. Il ritornello ci è introdotto da una chitarra vaudeville che scappellandosi alza il sipario su un canto alieno.
Questa è psichedelica moderna, perché lo è nella sua sostanza. 

Un’atmosfera da noir anni '50 gravita sul riff di "Lucifer Sam". L’ascoltatore attento, percepisce il pezzo come un unicum nel quale frammenti musicali, paradossalmente quasi indipendenti, sono raccordati circolarmente attraverso un procedimento di pause appena accennate. Nella sua malvagità sonora è una canzone che mette a disagio,  ‘…quel gatto ha qualcosa che non riesco a spiegare. Terrorizza il sottinteso che ben descrive lo spirito alla ‘Polanski’ del pezzo.
La terza composizione riflette in pieno la narrativa e la musicalità barrettiana, quel solipsismo da trovatore che esprimerà compiutamente nell’opera della maturità (The madcap laughs) e del decadimento fisico e artistico (Opel).
Il paesaggio musicale pare dapprima assecondare gaiamente le liriche favolistiche, ad un tratto, l’arpeggio s’imbizzarrisce e  il controcanto in falsetto, spinge il pezzo verso una deriva percussiva ed organistica. "Mathilda Mother" si situa così in um percorso decisamente più musicale rispetto alla successiva Flaming. Questa filastrocca da bambini un po’ drogati, s’accompagna a fischi, carillon, cucù, piatti e cianfrusaglie da robivecchi.

Prima di chiudere c’è il tempo per Pow R. toc R. e Take thy stethoscope and walk.
Il primo non sfigurerebbe affatto in Crown of Creation dei Jefferson Airplane dell’anno successivo, la sua cheta attesa dell’apocalisse, la sua tensione tutta da tregenda, anticipa sull’allungo  i maestri di volo della baia.
Il pezzo successivo è l’unico uscito dalla penna di Waters, è diviso in tre corpi di media lunghezza. Il primo è un attacco frontale percussivo e spastico su liriche alienate (buone nella resa fonetica ma abusate, concettualmente, nel corso degli anni). Il secondo è composto da assoli magmatici di chitarra e organo su un ritmo meno debosciato del precedente. Infine, il pezzo ridiventa cantato e vertiginosamente implode in un falsetto liberatorio.
Interstellar Overdrive à quello che avrebbero potuto suonare i pink senza barrett, ma che Parson, le chitarre funky, le grandeur declassarono alla prevedibilità.

Esistono pochi pezzi nella storia del rock che più di questo definiscono  il concetto di jam psichelica. Nel suo spaziare su paesaggi sonori pressoché infiniti, è la lente d’ingrandimento più affidabile per individuare il potenziale dell’ensemble come collettivo.
The Gnome e l’incipit del canzoniere solista di Barrett, folk buffo e trasognato, ha il difetto di accentuare l’egocentrismo del leader, relegando le altre personalità al ruolo di comprimari.
Con Charter 24 e Scarecrow, i nostri cesellano due operina docili, fragili e perfette come Haiku.
Il primo testo fa riferimento all’antico testo di divinazione cinese I Ching, di cui Syd è stato cultore. Quasi una mini-sinfonia d’oriente, mostra, un pò ingenuamente, la sensibilità mistica e un po svanita dell’autore.
Scarecrow ne è quasi un pot-scriptum. Una nota a piè pagina dolceamara che nonostante l’elementare percorso musicale ( un tip-tap scemo e un’organo dagli occhi a mandorla sbadato) ne sublima, alleggerendolo, il piglio serio serio della composizione precedente.
Bike è la classica melodia impossibile barrettiana. Certamente canzone tra le più datate, s’avvale di intromissioni spaziali che la sembrano voler nobilitare dalla sua concezione ‘beat’. È però una song così invitante per freschezza, e per l’estrema contabilità, quasi bandistica, che sarebbe potuta essere l’ideale singolo apri-pista dell’album.

Storie bambinesche e suggestioni vagamente religiose sono gli interpreti dei  sogni di carta barrettiani. Acerbi ma funzionali allo spirito del loro sound, sono forse l’anello “debole” del dna creativo della band.
Nonostante ciò, questo prodotto assolutamente non allineato, è secondo noi il disco più ispirato della psichedelia inglese dei ’60, con buona pace dei fans che posseggono 8 live non ufficili del tour di The Wall ma ignorano quest’alternativo trait d’union tra ‘beat’ e ‘progressive’

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