"The Piper At The Gates Of Dawn" è il primo disco dei Pink Floyd (1967), i quali avevano già esordito con i singoli "Arnold Lane" e "See Emily Play". Questo disco è già stato recensito su questo sito, ma ho pensato bene di far pubblicare una descrizione tutta mia dell'opera, se non altro perché è talmente complessa che una voce in più al riguardo non credo faccia male!

Il brano di apertura, "Astronomy Domine", è un brano molto particolare, una cantilena infantile introdotta da una voce radiofonica (stile: "un piccolo passo per un uomo...") e sorretta da un basso roboante e ossessivo. Il testo è in pratica una filastrocca spaziale che ben si adatta all'atmosfera del brano (viaggi interstellari e visionari). Certamente si può, come è stato più volte fatto, evidenziare la somiglianza con i Beatles di "Sgt. Pepper & Lonely Hearts Club Band" o di "Magical Mistery Tour", ma in realtà questo accostamento è più corretto per altri brani dell'album, mentre "Astronomy Domine", pur essendo figlio del suo tempo (e quindi per forza di cose simile a qualcos'altro), è già una voce fuori dal coro: in esso sono esasperate le componenti psichedeliche della musica di quel periodo (tessuti sonori confusi, tempi dilatati e uso delle tecnologie più all'avanguardia), così come in altri brani di "The Piper..." come "Pow R Toc H", brano strumentale folle e scherzoso in cui la voce umana è usata in maniera non convenzionale e in cui si realizza, qui come altrove, il connubio con la musique concrète (mi riferisco all'inserimento di elementi estranei all'organico strumentale come campane tubolari, macchine intonarumori, orologi ecc.).
Il secondo brano, "Lucifer Sam", è anch'esso impregnato di goliardia. La cosa più curiosa del pezzo è il rapido variare dello stile: prima sembra di stare ascoltando la colonna sonora di un film di spionaggio e poi subito dopo il brano torna ad essere una tradizionale composizione alla Barrett (l'intero disco è, al 90% forse, opera sua). La forte influenza dei Beatles (amatissimi da Syd Barrett), non sminuisce certo la portata dell'opera: innanzitutto l'influenza potrebbe essere stata reciproca visto che "Piper" e "Sgt. Pepper" furono registrati contemporaneamente in due sale attigue di Abbey Road; poi c'è da dire che, sebbene i punti di contatto con i quattro di Liverpool siano molti, è anche vero che i Pink Floyd vanno oltre gli stilemi della psichedelia dell'epoca e giungono a risultati molto distanti da quelli ottenuti contemporaneamente da Beatles e Beach Boys. Se non ricordo male "Take Up Thy Stethescope And Walk" è l'unico brano firmato Roger Waters. Nonostante ciò, il pezzo non presenta notevoli differenze rispetto al resto del disco: segno questo di un forte predominio della personalità di Syd Barrett o dell'esistenza di un sentire comune (o di entrambe le cose).

Sicuramente i Pink Floyd sono un prodotto della cultura undergound inglese dei '60, un tipico fenomeno della psichedelia (solo musicalmente ed esteticamente però eh!) che però col tempo è degenerato senza controllo (l'affermazione non ha connotazioni negative) diventando qualcosa di totalmente autonomo. Ma in questa fase della storia del gruppo, non si può ancora parlare di un vero e proprio Pink Floyd Sound (curioso, questo era anche il primo nome della band!), o meglio, quello esibito in questo disco non è il tipico stile Pink Floyd che tutti conoscono (quello di "The Wall", "Wish You Were Here" e "Animals" tanto per intenderci) ma qualcosa di diverso.
Con la dipartita di Barrett, i Pink Floyd passeranno una difficile fase di transizione in cui ricercheranno un loro linguaggio musicale tentando di emanciparsi dalla pesante eredità di Barrett (producendo interessantissimi dischi come "More" o "Atom Heart Mother") per poi approdare alle sonorità che tutti conosciamo e che li hanno resi immortali. Però in "The Piper At The Gates Of Dawn" sono già ben presenti, mescolati come in un calderone, alcuni degli elementi che contraddistingueranno le opere future dei Floyd come il rumorismo, la follia (che si tingerà di toni più cupi grazie a Waters) e le raffinate melodie vocali (infatti, anche se non ci si pensa mai, il rock inglese e americano ha sempre avuto la tendenza a trascurare la melodia del cantato).

La lunga suite strumentale "Interstellar Overdrive" è, palesemente, una composizione nata improvvisando attorno ad un tema centrale. Personalmente trovo molto gustosa anche "The Gnome", folle canzone sullo gnomo Grimble Gromble. Trovo interessanti tutte le composizioni di quest'album, ma quella che mi è più cara è "Bike", il brano di chiusura. Una classica filastrocca alla Barrett, folle, ingenua, infantile e scherzosa caratterizzata però da uno strano tempo composto. Il pezzo è, come altri, inghirlandato con effetti sonori e rumori (soprattutto campanellini da bicicletta). Il testo è, come gli altri, folle e infantile, teso più ad evocare stati d'animo che a descrivere situazioni ben definite.

In sintesi: il disco risente dell'influenza dei Beatles ma porta alle estreme conseguenze l'elemento psichedelico, è aperto a mille influenze (ci sono anche brani che attingono ampiamente dal folk britannico e non solo) e a tutte le novità tecnologiche in ambito di registrazione (novità per l'epoca ovviamente). I Pink Floyd di questo periodo rientrano in pieno, secondo me, in quel gruppo di musicisti che fecero da ponte tra i '60 e i '70 come Jimi Hendrix o i Doors con la non irrilevante differenza che i Pink Floyd continueranno a produrre anche nel decennio successivo.

A chi è consigliato questo disco? Agli amanti del beat o comunque del sound degli anni '60 (in particolare Beatles ovviamente!), a chi ama della musica l'aspetto più legato all'ingegneria del suono (non perchè sia eccezionale, ma perchè è interessante vedere come lavoravano quando ancora non erano diffusi i campionatori e altre cose ancora), a chi ama la sperimentazione e ai fan dei Pink Floyd che non conoscono le origini della band (potrebbero non piacervi, ma apprezzerete ancora meglio quelli moderni se ne conoscerete l'evoluzione).

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