Londra, 21 Marzo 1967 – All’interno dei leggendari studi di proprietà della EMI ad Abbey Road due gruppi che al tempo vi stavano registrando i rispettivi lavori si incontrano e hanno modo di presentarsi ufficialmente; nulla di speciale, si potrebbe pensare: non fosse che i gruppi in questione erano i Beatles e gli allora debuttanti Pink Floyd.
E, come gli eventi successivi dimostreranno, nei brevi istanti che durarono quelle strette di mano si poteva intravedere una sorta di passaggio delle consegne.
Già allora Paul McCartney aveva in diverse occasioni lodato il giovane gruppo e si era detto convinto che “ci sarebbe stata una nuova sintesi di elettronica, tecniche di studio e rock n’roll. E che non sarebbero stati esattamente i Beatles il veicolo di quella musica, ma i Pink Floyd”.
I quali, divenuti ufficialmente professionisti da poco più di un mese e mezzo, avevano pubblicato il loro primo singolo appena dieci giorni prima, uno strambo ma accattivante pezzo intitolato ‘Arnold Layne’.
La stranezza del brano risiedeva in parte nel tema del testo, che descriveva la vicenda di un uomo di Cambridge, che era stato sorpreso a rubare ed indossare biancheria intima dall’istituto femminile locale, e poi condotto in prigione.
L’autore dello scabroso (per allora) brano era un 21enne di Cambridge, di nome Roger Keith Barrett, per gli amici (ed il mondo del rock) Syd.
Il giovanissimo cantante e chitarrista era allora il leader, il principale autore e la forza trainante dei Pink Floyd, già al tempo noti per incredibili e innovativi spettacoli di luce, in cui il gruppo si avventurava in lunghe improvvisazioni soniche e rumoristiche che ben poche radici avevano nell’allora imperante blues ma già (e in parte inconsapevolmente) nell’avanguardia professata da compositori come Stockhausen.
Subito dietro di lui si trovava la già importante figura del bassista Roger Waters, il quale si era ritagliato un ruolo notevole nella band, quella più defilata del timido tastierista Richard Wright, ma assolutamente fondamentale nella costruzione del sound del gruppo, e del batterista Nick Mason, che finirà per essere l’unico membro dei Pink Floyd a fare parte di ogni incarnazione della leggendaria band.
Insieme, nei suddetti studi, erano impegnati nella costruzione del loro primo lp, che pubblicato in agosto, prenderà il titolo di ‘The Piper At The Gates Of Dawn’ (titolo del settimo capitolo di un libro per bambini, ‘ The Wind In The Willows’ di Kenneth Grahame’); poche stanze più in là i Beatles stavano dando forma al loro ‘Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band’: e, ad un ascolto anche superficiale, è facile notare diverse assonanze tra i due lavori.
I Pink Floyd, che erano allora i precursori e il più importante gruppo della psichedelia inglese, producono un album la cui sonorità, caso forse più unico che raro, non verrà mai più ripetuta in seguito, nemmeno da loro stessi: semplicemente nulla che sia poi stato pubblicato né prima né dopo di esso può vantare un suono simile.
Il tono dei brani è mutevole, e passa dal rumorismo all’etereo, dal minaccioso al fiabesco; molti dei brani hanno un sapore quasi infantile, in linea con il titolo e all’ispirazione data da Barrett al progetto. Del quale non fanno parte né la già citata ‘Arnold Layne’, nè il secondo singolo ‘See Emily Play’, che, pubblicato a giugno, era riuscito a portare i Floyd in alto nelle classifiche inglesi (comunque facilmente reperibili attraverso la raccolta ‘Relics’, pubblicata nel 1971).
Ne facevano però parte diversi futuri classici del gruppo. Il primo di questi è posto in apertura: ‘Astronomy Domine’ preannuncia la futura vena cosmica del gruppo ed è un brano semplicemente sensazionale, dal timbro plumbeo ed oscuro, dalla strana struttura priva di un vero e proprio ritornello, con le voci armonizzate di Barrett e Wright a dettare l’atmosfera, ed un testo cosmico e minaccioso.
Rimarrà un classico dal vivo della band per molti anni, anche in seguito all’uscita di Barrett, ed una strepitosa versione è rintracciabile in apertura della parte live di ‘Ummagumma’, 1969).
Si prosegue poi con ‘Lucifer Sam’, in cui sonorità molto sixties, quasi da film poliziesco, fanno da sottofondo all’ode scritta da Barrett nei confronti di un gatto siamese. La seguente ‘Matilda Mother’ è il primo esempio della già citata vena fiabesca dell’album; atmosfere delicate e sempre mutevoli fanno da colonna sonora all’immagine di una bambina che chiede alla madre di leggerle la fiaba serale, con Barrett e Wright a dividersi le parti vocali e del testo.
Fondamentale in questo (come in svariati altri brani dell’album) è l’apporto del tastierista Rick Wright, che con i suoi assoli eterei e le sue scale modali di sapore orientale dirige con grandissimo gusto le atmosfere dell’album; purtroppo il suo carattere riservato e timido lo porterà ad essere uno dei personaggi più sottovalutati nel mondo floydiano, ma è comunque vero che senza il suo apporto il suono di quest’album (ed anche di tutti i seguenti, almeno fino a ‘Wish You Were Here’ del 1975) non avrebbe potuto essere lo stesso che il mondo ha imparato a conoscere e ad amare.
Altro brano in linea è la splendidamente psichedelica ‘Flaming’ e la successiva ‘Pow R. Toc H.’, brano costruito sui suoni onomatopeici che gli danno il titolo e su una improvvisazione basata su un semplice giro di due accordi.
Poi è il turno di ‘Take Up Thy Stethoscope And Walk’, prima acerba prova d’autore di Roger Waters, brano molto ruvido e ritmico, nel quale le parole hanno il puro scopo di incastrarsi rigidamente nel testo e suonare ‘bizzarre’: i brani che Waters scriverà in seguito saranno via via sempre più personali e soprattutto interessanti e profondi dal lato testuale, e questa sua prima composizione potrà essere in parte archiviata come un tentativo di imitazione del genio di Barrett.
Genio che risplende magicamente nella successiva ‘Interstellar Overdrive’, posta strategicamente al centro dell’album.
Completamente strumentale, questo classico floydiano è una lunga improvvisazione strumentale che si avvicina più di qualsiasi altro pezzo del disco al suono live del gruppo a quei tempi. I quattro, sempre sorretti da Wright e Barrett, esplorano numerose atmosfere differenti, passando da estreme ruvidità ad ampi squarci melodici, quasi come in un ‘flusso di coscienza’ musicale.
L’lp si chiude poi con quattro esempi della creatività fiabesca di Barrett; il primo e più ‘letterale’ è ‘The Gnome’, in cui il futuro Testamatta racconta la semplice storia di Grimble Gromble e dei suoi amici gnomi che vivono nel bosco.
’Chapter 24’ è splendida e sorretta dall’onirico organo Farfisa di Wright, mentre Barrett esprime testualmente la sua passione-ossessione di quei giorni per la filosofia orientale dell’I Ching. ‘The Scarecrow’ racconta la vita vista con gli occhi di uno spaventapasseri ed è un brano molto semplice, con bellissime aperture acustiche nel finale.
L’album si chiude poi con l’ironica e quasi cabarettistica ‘Bike’, dal testo quasi non-sense e con un finale pieno di effetti sonori, di suoni di macchinari che si mettono in moto e addirittura uno stormo di anatre in fade out…
Però tutto ha un suo significato all’interno dell’album, che dal punto di vista sonoro è, oltre che al più originale, anche il più eterogeneo della discografia floydiana.
Prodotto da Norman Smith (producer di molti classici pezzi pop dell’epoca e ironicamente soprannominato ‘Normal’, dai Beatles, per sottolinearne la tendenza alla non-sperimentazione) vede però i quattro Floyd sperimentare ad ampio raggio negli studi, utilizzando tutte le attrezzature e gli strani strumenti (gong, clavicembali, timpani) che gli studi di Abbey Road allora mettevano a disposizione. Alcuni dicono che se a produrre l’album fosse stato l’eclettico Joe Boyd (ovvero il produttore di ‘Arnold Layne’, sostituito dalla EMI in favore di Smith) i Floyd avrebbero potuto raggiungere vette di sperimentazione ancora più elevate. Ma, sinceramente, è difficile immaginare quest’album migliore di quanto non sia.
Al tempo fu pubblicizzato come ‘la formulazione sonora di un sogno’ e, una volta tanto, sembra che l’etichetta discografica avesse capito realmente che tipo di prodotto si trovava tra le mani.
La vicenda dei Pink Floyd proseguirà poi con le ben note discese di Barrett nel mondo dell’acido che ne determineranno prima l’allontanamento dal gruppo, poi, lentamente, dallo stesso mondo reale, lasciando ‘The Piper At The Gates Of Dawn’ come unica testimonianza completa dell’autore nel pieno possesso del proprio genio.
E, quale che sia il periodo dei Pink Floyd che si preferisca, ‘Piper’ rimane una gemma unica nel suo genere, e l’album indiscutibilmente più originale e libero da schemi che i Fab Four degli anni 70 abbiano prodotto nella loro incredibile carriera musicale.
Recensione di Alessandro Tosetti
Elenco tracce testi samples e video
01 Astronomy Domine (04:12)
Lime and limpid green, a second scene
A fight between the blue you once knew.
Floating down, the sound resounds
Around the icy waters underground.
Jupiter and Saturn, Oberon, Miranda
And Titania, Neptune, Titan.
Stars can frighten.
Blinding signs flap,
Flicker, flicker, flicker blam. Pow, pow.
Stairway scare Dan Dare who's there?
Lime and limpid green
The sounds surrounds the icy waters underground
Lime and limpid green
The sounds surrounds the icy waters underground.
02 Lucifer Sam (03:07)
Lucifer Sam, siam cat.
Always sitting by your side
Always by your side.
That cat's something I can't explain.
Jennifer Gentle, you're a witch.
You're the left side
He's the right side.
Oh, no!
That cat's something I can't explain.
Lucifer go to sea.
Be a hip cat
Be a ship's cat.
Somewhere, anywhere.
That cat's something I can't explain.
At night prowling sifting sand.
Hiding around on the ground.
He'll be found when you're around.
That cat's something I can't explain.
04 Flaming (02:46)
Alone in the clouds all blue
Lying on an eiderdown.
Yippee! You can't see me
But I can you.
Lazing in the foggy dew
Sitting on a unicorn.
No fair, you can't hear me
But I can you.
Watching buttercups cup the light
Sleeping on a dandelion.
Too much, I won't touch you
But then I might.
Screaming through the starlit sky
Traveling by telephone.
Hey ho, here we go
Ever so high.
Alone in the clouds all blue
Lying on an eiderdown.
Yippee! You can't see me
But I can you.
08 The Gnome (02:13)
I want to tell you a story
About a little man
If I can.
A gnome named Grimble Grumble.
And little gnomes stay in their homes.
Eating, sleeping, drinking their wine.
He wore a scarlet tunic,
A blue green hood,
It looked quite good.
He had a big adventure
Amidst the grass
Fresh air at last.
Wining, dining, biding his time.
And then one day - hooray!
Another way for gnomes to say
Oooooooooomray.
Look at the sky, look at the river
Isn't it good?
Look at the sky, look at the river
Isn't it good?
Winding, finding places to go.
And then one day - hooray!
Another way for gnomes to say
Oooooooooomray.
Ooooooooooooooomray.
09 Chapter 24 (03:42)
A movement is accomplished in six stages
And the seventh brings return.
The seven is the number of the young light
It forms when darkness is increased by one.
Change returns success
Going and coming without error.
Action brings good fortune.
Sunset.
The time is with the month of winter solstice
When the change is due to come.
Thunder in the other course of heaven.
Things cannot be destroyed once and for all.
Change returns success
Going and coming without error.
Action brings good fortune.
Sunset, sunrise.
A movement is accomplished in six stages
And the seventh brings return.
The seven is the number of the young light
It forms when darkness is increased by one.
Change returns success
Going and coming without error.
Action brings good fortune.
Sunset, sunrise.
10 The Scarecrow (02:11)
The black and green scarecrow as ev'ryone knows
Stood with a bird on his hat and straw everywhere
He didn't care...
He stood in a field where barley grows
His head did no thinking his arms didn't move
Except when the wind cut up rough
And mice ran around on the ground
He stood in a field where barley grows
The black and green scarecrow is sadder than me
But now he's resigned to his fate
'Cause life's not unkind
He doesn't mind
He stood in a field where barley grows
11 Bike (03:21)
I've got a bike
You can ride it if you like
It's got a basket
A bell that rings
And things to make it look good
I'd give it to you if I could
But I borrowed it
You're the kind of girl that fits in with my world
I'll give you anything
Everything if you want things
I've got a cloak
It's a bit of a joke
There's a tear up the front
It's red and black
I've had it for months
If you think it could look good
Then I guess it should
You're the kind of girl that fits in with my world
I'll give you anything
Everything if you want things
I know a mouse
And he hasn't got a house
I don't know why
I call him Gerald
He's getting rather old
But he's a good mouse
You're the kind of girl that fits in with my world
I'll give you anything
Everything if you want things
I've got a clan of gingerbread men
Here a man
There a man
Lots of gingerbread men
Take a couple if you wish
They're on the dish
You're the kind of girl that fits in with my world
I'll give you anything
Everything if you want things
I know a room full of musical tunes
Some rhyme
Some ching
Most of them are clockwork
Let's go into the other room and make them work
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Altre recensioni
Di charles
Stiamo parlando dei britannici Pink Floyd... ebbene sì, già dal primo disco si capisce quello che avrebbero fatto in futuro.
Disco eccellente, che si discosta un po' dal sound tipico dei Pink Floyd ma che è ugualmente un colosso della storia della musica.
Di zaireeka
Syd Barret. Il diamante pazzo. Il Fu Mattia Pascal psichedelico.
Uno di quelli orologi... i suoi vecchi compagni lo hanno conservato e lo hanno fatto suonare ancora una volta all’inizio di Time.
Di Moro1
Solo Barrett può spiegare il capolavoro che ha composto e che ha scritto, e lo fa attraverso le storie di un re narrate nella fiaba di una mamma.
Questa è la storia, questa è la psichedelia, questo è il capolavoro, e voi dovreste saperlo.
Di anthon
«Fin dai primi secondi, l’ascoltatore è trasportato in una dimensione ultramondana, dimensione che caratterizza gran parte dell’album.»
«Interstellar Overdrive rappresenta la vera innovazione, un free-form di circa otto minuti, che usa il linguaggio della dissonanza.»
Di AJAX
I primi pink floyd sono riusciti a sintetizzare in una visione unica e inimitabile gli impulsi provenienti dall'acid rock westcoastiano, l'interesse per le forme musicali libere e improvvisate e l'amore per il fiabesco più autenticamente inglese.
Al genere proposto non ho saputo dirvi quale, perché i pink non hanno uno stile a sé.. Ma sono un misto di più generi... Forse è questo che li rende così grandi...