Parlare di Pino Daniele per me è un'impresa ardua, quasi imbarazzante, e lo è ancora di più quando si tratta l'argomento "Bella 'Mbriana". L'album, registrato dalla EMI nel lontano 1982, è una finestra aperta sull'animo di un musicista partenopeo che ha ormai raggiunto il suo apice tecnico-compositivo, e vuole cantare in maniera più elegante e disinteressata possibile della malinconia napoletana. E' difficile quindi decontestualizzare quest'album e parlarne da una posizione il più possibile neutro: è il fine ultimo dell'opera che induce a ricordare con malinconica nostalgia l'atmosfera dei difficili albori degli anni '80 in quel di Napoli, percossa e tormentata dal manto nero della corruzione, dell'omertà e dell'impotenza del popolo che vede nel racconto, nel canto e nella filosofia la propria valvola di sfogo (sono gli anni della violenta rivalsa del neapolitan power, dei film di de Crescenzo e Troisi). Si diffonde una sorta di saggezza popolare che sfocia in una coesione e in un senso di appartenenza ad una causa comune, che vede protagonisti il popolo minuto come gli intellettuali.

Il titolo dell'album è emblematico: "Bella 'Mbriana" è lo spirito casalingo protagonista dell'antica leggenda napoletana. E' un racconto della vita quotidiana di questa città, vista però dall'interno, dallo sguardo disincantato di un popolano come un altro. Pino getta macchie vivide di colore che come un quadro espressionista, si conformano nel delineare la fisionomia più sincera e pura della città.

L'album vede l'alternarsi di sapori limpidi e suggestivi (alimentati dalla collaborazione del big Wayne Shorter), a sature chitarre dai toni decisamente rock (mi riferisco a brani come "Tutta 'nata storia", "Tarumbò",  "Mo basta") ma anche a lucide commisture di generi, come in "Ma che mania", che vede protagonisti ritmiche funky e latin. Il livello compositivo è intuibile già dal primo languido brano, "Annarè", o dal terzo, "Bella 'Mbriana", che dà nome all'album, e che si presenta come una raffinata anticipazione del world jazz, dove ritmi sudamericani si sposano con armonie ricercate e melodie dallo spiccato gusto mediterraneo.

Ma è solo con "Io vivo come te" e "Toledo" (quest'ultimo unico pezzo strumentale del nostro Pino) che si arriva all'apice: i toni sono decisamente shorteriani, la texture armonica è sempre più complessa e ricercata, e si avvertono immediati rimandi a Santana, alla sfrontata energia del latin jazz e alla calma tradizione del rock.
Non possono mancare tributi al blues, come "I Got The Blues" (che racchiude un delizioso assolo di un grandissimo Alphonso Johnson) e "E po' che fa".
Si chiude con la lenta "Maggio se ne va"; si chiude con una nota di tristezza che dona una strana sensazione di incompiutezza all'album, come una promessa di rivalsa.

In ogni caso, senza dubbio "Bella 'Mbriana" è un album importante, che sta all'apice della carriera compositiva di un grande artista, che si fa interprete della "magna" fusion internazionale, riuscendo a toccare punti di altissimo livello compositivo ed emotivo. L'energia ha un impatto forte con l'ascoltatore, che viene catapultato nella vera essenza del vivere in una città come Napoli, piena di assedi e tranelli, una città che obbliga i suoi figli ad una continua e serrata selezione del più forte, una continua lotta "sulament' pe' magnà".

"Bella 'Mbriana" è l'evoluzione dell'acerbo grido di aiuto di "Terra Mia", un surclassamento intellettuale, la piena consapevolezza di ciò che si è diventati: non si è riusciti a cambiare Napoli, ma si produce musica sempre più alta e sofisticata. Non so se ciò sia una causa o un effetto del "mal di vivere" partenopeo, sta di fatto che quest'album resta una pietra miliare della storia italiana degli anni '80.

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