Nessuno come Florian Fricke ha saputo unire il rock al misticismo più puro, a renderlo metafisico e religioso, ad unire questa arte occidentale con atmosfere e culture di paesi lontanissimi. Fricke insieme a Klause Schulze è il più importante di quella straordinaria generazione di musicisti che operò nella Germania di fine anni 60. Allievo di Karlheinz Stockausen, ha suonato nei maggiori gruppi dell'epoca (Tangerine Dream, Amon Duul), ma più degli altri ha unito le sue straordinarie capacità alla ricerca e allo studio di arti lontanissime, da quella indiana, a quella Atzeca, a quella araba-mediorentale. Con la sua opera ha gettato i ponti per la musica new age e Ambient, grazie al sodalizio con il cineasta Werner Herzog ha inventato musiche che da sole commentano immagini (vedetevi "Aguirre furore di Dio"). Purtroppo morto precocemente, Fricke nella sua lunga carriera non è mai stato banale e statico, ha sempre sperimentato suoni e nuove forme di multimedialità.

A differenza degli altri gruppi tedeschi dell'epoca i suoi Popol Vuh, hanno curato meno il lato sperimentale ed elettronico facendo prevalere la componente "tradizionale", impiegando strumenti quali sitar, tablas. Questo disco è il primo capolavoro assoluto del progetto di Fricke, del 1971 precede un altro straordinario capolavoro quale "Hosianna Mantra", ma riveste un ruolo fondamentale perché centra pienamente le coordinate artistiche che Fricke non raggiunse con "Affenstunde" dell'anno precedente. Si è detto più volte che per immaginare semplicisticamente il kraut rock basta unire la musica elettronica di avanguardia con la psichedelica orgiastica di "A Saucerful Of Secrets", e questo disco effettivamente è il caposcuola di questa fusione. Lo scopo che raggiunge è differente rispetto ai dischi dei CAN e degli Amon Duul, non provoca turbamento bensì estasi, oblio.

Il disco è composto di due lunghe suite "In Den Gärten Pharaos" (17:38) e "Vuh" (10:09). Si parte con uno scroscio di acque, giardini lussuriosi si aprono dinnanzi ai sensi, un ritmo marziale scandisce momenti tranquilli, si ascoltano echi lontani di selvaggina esotica. L'elettronica è usata sapientemente, il moog di Fricke dispensa pace e oblio, fino a che un ritmo tribale prende il sopravvento portando l'ascoltatore in un baccanale selvaggio, primordiale. La musica dei Popol Vuh scava fino alle radici più profonde dell'umanità, scava nella purezza e nell'inocenza della nudità fisica. La seconda immensa traccia e una liturgia psichedelica, le note dell'organo di Fricke di librano altissime, tablas, timpani e piatti scandiscono il delirio spirituale, l'estasi. Cori arcani si fondono con l'organo, sembra di assistere ad una messa di qualche antico idolo, di un qualsiasi dio che alberga in ogni individuo. Nessuno prima aveva reso il rock tanto impalpabile e leggero. Nessuno prima di Fricke aveva creato della musica rock come mezzo di estasi spirituale.

Davanti a questo disco le parole sono superflue, dinnanzi all'immensa creatività e poesia di questo gruppo, i Dead Can Dance appaiono superati e secondari. I Popol Vuh hanno creato qualcosa di immenso e inarrivabile, e sarebbe un peccato se non si conoscessero.

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