Ho conosciuto una ragazza a cui piacevano le margherite, diceva che era il suo fiore preferito. Le piaceva pensare e far pensare che la semplicità è rappresentata da una margherita. E in effetti aveva pensieri semplici. Poi ho saputo che la margherita è un fiore tutt’altro che semplice; fa parte della famiglia delle “composite”, in poche parole quello che vediamo come fiore sono invece tanti fiori, ogni ‘petalo’ è un fiore.

Quando un amico di mio figlio, che sapevo ascoltava musica per me improbabile, mi consigliò di sentire i Porcupine Tree ebbi molte perplessità. “Ascolta In Absentia, vedrai che ti piacerà”. Non lo credevo ma mi sbagliavo.

I Porcupine Tree sono un gruppo che ha preso il prog romantico e ne ha elaborato una propria versione moderna non molto discosta dalle mitiche band capostipite. Il leader Steve Wilson sembra che abbia un legame di sangue con quelle band. Lo vedo in una immaginaria foto d’epoca a fianco di Tony Banks, Robert Fripp, Roger Waters, lui con i pantaloni corti. Bravo chitarrista e cantante ma soprattutto ottimo compositore e arrangiatore, dirige un gruppo di bravi musicisti, citando non a caso il batterista Gavin Harrison.

L'album: inizio strepitoso che dona carisma a tutto il disco, perché lo ritengo importante come si apre un'opera e, dopo un primo arpeggio di chitarra elettrica, quel suono slide al secondo 52 mi fa impazzire e introduce una 'Blackest Eyes' molto piacevole. Come piacevole è 'Trains' che dopo un inizio acustico esibisce un Wilson ispirato nel canto oltre che negli arrangiamenti. Stessa cosa per la successiva 'Lips of Ashes', ma a dire il vero tutto l'album è l'esaltazione dell'arrangiamento. A dimostrazione di come una composizione buona può diventare un capolavoro. In 'The Sound of Muzak' comincia a farsi sentire la personalità di Gavin Harrison alla batteria con i suoi ritmi e tocchi ricercati. Qui un bell'inciso guidato da Colin Edwin con un gran giro di basso e nel finale il primo di quegli stacchi di chitarra elettrica di Steve così eleganti... semplici ed eleganti.

Dopo una 'Gravity Eyelids' discreta e una 'Wedding Nails' vagamente hard viene 'Prodigal' che insieme a 'Heartattack in a Layby' rappresenta i punti più alti dell'opera. In 'Prodigal' classe ed esperienza si sprecano, riff fantastico e assolo con chitarra col timbro a lui più caro.

Giro di basso potente per '.3' dove la psichedelia passata ma non dimenticata riemerge dalla penna di Wilson. Il ritmo la fa da padrone anche in 'The Creator Has a Mastertape', anzi qui di più. Poi arriva la già citata 'Heartattack in a Laybe', dolcissimo brano dove il protagonista riflette in auto sul suo ritorno a casa, avvolto in una leggera nebbia. L'ascoltatore non può non cantare “iaiaiaiaiaiaia” nel delicato contrappunto del refrain. Altro grande pezzo è "Strip The Soul", regolato da un pressante giro di basso ma soprattutto da un riff finale meraviglioso. Conclude l'album un bellissimo brano dal titolo 'Collapse the Light into Earth' che nella sua semplicità mi ricorda 'Eclipse' del mitico 'The Dark Side of the Moon'. Un accostamento che 'sento': sarà per il giro, sarà per il piano, sarà per la affinità dei titoli, insomma lo sento. Il piano, i cori e il sinth: semplicità e bellezza. La chitarra distorta in chiusura è l'ultimo zuccherino di un album veramente bello e ben registrato.

Un’apparente semplicità che nasconde una complessità. Ecco, dovessi definire questo disco con un fiore direi che è una margherita nel campo di fiori del rock. E se rivedessi quella ragazza le direi che si può credersi semplici, ma in realtà siamo tutti complicati, chi più chi meno, c’è complessità e complessità. E le darei un bacio perchè la sua 'semplicità complessa' mi piaceva proprio. E le regalerei questo album.

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