Le emozioni allo stato puro. È tutto ciò che ci si può aspettare quando c'è di mezzo Steven Wilson, uno dei tanti geni incompresi del panorama musicale odierno alla pari dei vari Daniel Gildenlow, Roine Stolt, Neal Morse e compagnia bella...

In questo "In Absentia", datato 2002, le emozioni raggiungono davvero l'apice. Le 12 tracce di questo lavoro sembrano create apposta per entrare nel cuore e da esso essere pompate in tutto l'apparato cardio-circolatorio. Merito sicuramente del nuovo sound che la band propone dai tempi di "Stupid Dream"; se nei primi quattro album prevaleva nettamente la psichedelia, l'utilizzo massiccio di suoni distorti e sintetizzatori spaziali in perfetto stile Pink Floyd ora invece i P.T. optano per un sound decisamente più delicato, meno psichedelico e farcito di suoni molto più caldi e sentimentali; e "In Absentia" è una pura conferma di quanto proposto nei precedenti due lavori "Stupid Dream" e "Lightbulb Sun" e continua a proporre pregevoli parti acustiche, delicati e sottili sottofondi di tastiera e tocchi pianistici in grado di trascinare l'ascoltatore oltre ciò che egli può vedere con i suoi occhi e far perdere il suo sguardo oltre l'orizzonte, ma non mancano i riff più heavy che il nuovo sound della band prevede. E in questo lavoro sembra che tutto ciò raggiunga la perfezione.

La traccia sicuramente più toccante e atmosferica è a mio avviso "Gravity Eyelids" dove il sottofondo tastieristico è corposo e determinato anche se deve fare i conti con le ottime "Prodigal" e soprattutto ".3"; ma l'apice delle emozioni si raggiungono nelle splendide e malinconiche "Heartattack In A Lay By" e "Collapse The Light Into Earth" dove ci lasciamo trascinare nell'atmosfera da un piano intenso e vivo e delle orchestrazioni davvero profonde e ben arrangiate. Le finezze acustiche si perfezionano invece nelle ottime "Trains" e "The Sound Of Muzak" e "Lips Of Ashes" mentre riff più heavy si trovano nella opener "Blackest Eyes", nella strumentale "Wedding Nails" dove vi è anche un audace gioco ritmico, nei suoni aspri di "The Creator Has A Mastertape" e in "Strip The Soul" peraltro sostenuta da un ottimo giro di basso.

E un momento infelice? Non c'è? No, non c'è, ogni traccia è curata nei minimi particolari; Steven Wilson è uno che la superficialità non vuole proprio sapere che cos'è... perché la superficialità fa perdere qualità, fa perdere classe, e lui lo sa bene! Di conseguenza ogni disco che ci regala si fa ascoltare fino all'ultima traccia senza pensare che vi possa essere qualche nota stonata e soprattutto senza annoiare, emozionando fino all'ultima nota!

I Porcupine Tree sono davvero una band che fa la differenza nel panorama prog odierno; una band che vuole evitare confronti con i colleghi più noti e che quindi crea per se un proprio stile, comune a pochi altri, senza mai aver paura di essere incompresi! Consiglio rivolto soprattutto a chi è stanco del solito prog e vuole davvero un prog più evoluto e sognante!

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