Succede questo.

Sulle ceneri dei Quelli ("c'è una bambolina che fa no no no") nasce la PFM. Franco Mussida (chitarra, voce), Flavio Premoli (tastiere, voce), Mauro Pagani (suonava un po' di tutto), Giorgio Piazza (basso), Franz Di Cioccio (batteria, voce). Come i Pink Floyd, non c'è un leader vocale. Ma loro guardano al prog, ai King Crimson su tutti.

Settembre, 1970. Milano. Zona Corvetto, a sud. In un ex cinema parrocchiale adibito alla bisogna a studio di registrazione Battisti, con Mogol gran supervisore e Reverberi maestro d'orchestra, registra "Emozioni". A suonare ci sono anche Mussida, Di Cioccio e Premoli. La canzone, bellissima, è tutta un'esplosione di meditazione e natura, di aironi sopra il fiume e di brughiere mattutine. Che bravi questi Mussida e Premoli, asserisce Battisti. Già, risponde Mogol.

Nel 1971 il duo più celebre della canzone italiana fonda la propria etichetta, la Numero Uno. E allora portiamoci questi tizi, a cui nel frattempo s'erano aggiunto Pagani e Piazza, a suonare con noi. Oltretutto si trattava dell'epoca d'oro del prog, tra King Crimson, Genesis e Jehtro Tull hai voglia a vendere dischi. Era il genere più amato, insieme al rock e al pop. Addirittura, nel 1972, a Villa Pamphili si tenne il Festival del Prog, e ci andarono tutti: Van Der Graaf Generator, Peter Hammill, gli Hawkind, e gli italiani Osanna, New Trolls e la PFM.

Ma nel 1972 usciva anche il loro primo album, "Storia di un minuto", e quelle immagini bucoliche mogoliane di "Emozioni" si ritrovano anche nel brano principe del disco, "Impressioni di settembre", scritto da Mogol, appunto. Certo, il famoso moog risolse molti dubbi alla PFM, ma i loro cambi di ritmo, gli alti e i bassi, le atmosfere che si fanno sarabande ("E' festa") o gotiche ("La carrozza di Hans", altro capolavoro) sono tutte PFM Style.

L'album è uno dei più belli della musica italiana, fors'anche più, a mio avviso, del successivo live in Usa (band italiana che fa proseliti all'estero, e oggi ci dobbiamo ciucciare i Maneskin!), perchè è un album che li contiene tutti. Basti pensare alla suite in due atti di "Dove... quando" che chiude la prima facciata e apre la seconda, con un ritmo onirico, quasi ipnotico, che fa da apertura alle oscurità di Hans il mercante. Che venne in mente a Mussida:

"Una notte, mentre rientravamo a Milano dopo una serata a Torino, stavo guidando il nostro furgone e mi concentrai su una melodia che avevo in mente. La canticchiavo dentro di me, ne immaginavo gli sviluppi, le aperture, i cambi di tempo. Avevo fretta di arrivare a casa al più presto per poter tirar giù quelle note con la chitarra".

Degna conclusione "Grazie davvero" che è una festa di accelerazioni e decelerazioni, con una sezione fiati in grande spolvero. Anche se, forse, è il pezzo più debole dell'intero album, non dico superfluo, non sia mai, ma, a mio avviso, quello meno a fuoco.

Ciò detto, gran lavoro. E complimenti alla Numero Uno (la cui addetta all'ufficio stampa era Mara Maionchi) che ha saputo negli anni produrre artisti di livello eccezionale (un nome? Ivan Graziani).

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