Con gli anni capita sempre meno spesso, ma quando capita ha il gusto sincero dell'epifania musicale. Cosa? Quella gioia repentina e quel pizzicore nel retro del cavo auditivo che vi fa capire, dopo un paio di brani scarsi, che un disco ha fatto immediatamente centro. E la gioia è tanto maggiore quanto meno si sa della band, come nel caso di questi Promised Land Sound.

Originari di Nashville, i Promised Land Sound sono fra le incarnazioni più attuali di un suono, o meglio di un sentire, country cosmico assolutamente retrò. Sarà il fatto che l'età media è tipo 22 anni, l'autorevolezza nel maneggiare quasi 50 anni di rock “americano” fa impressione. Che poi di country tout court i ragazzi ne suonano ben poco, ma quell'atmosfera agreste corroborata da buone dosi di good vibrations fra balle di fieno e balle di marijuana la incarnano alla perfezione.

Partendo dal sogno Byrdsiano che si scioglie in un morbido abbraccio ritmicamente psichedelico di “Push And Pull (All The Time)” è un dipanarsi quasi fastidioso di brani dagli intrecci perfetti e mai scontati, instant classic in una realtà alternativa ferma al 1971. Inoltre l'alternarsi dei due fratelli Scala alla voce provoca reazioni differenti, soprattutto per il timbro smaccatamente Dylaniano di uno dei due. Che, se devo esserer sincero, è la discriminante fondamentale che vi potrà far bollare il disco come pure derivativismo o con un suo valore intrinseco. Immagino che dopo i primi 10 secondi di “Otherwordly Pleasures” vi verrà da prendere la vostra copia di Highway 61 pensando sia una outtake. Bellissimi e pieni di screziature policrome (quindi mai banali) i brani più mellow, come “Through The Seasons”, pura California '68, oppure “Canfield Drive”, pezzo West Coast che potrebbe scrivere un Jonathan Wilson.

Ecco è forse Wilson, quello del primo e favoloso disco, il paragone più calzante fra i contemporanei (un po' un ossimoro, visto che Wilson è un altro musicista dedito al reimpasto di musica retrò). Difficile saltare qualche brano, tutti hanno al loro interno sfaccettature differenti ma che si completano alla perfezione. Dal folk con fingerpicking di “Dialogue”, a quello elettrico stile Quicksilver di “Better Company”, alla Space Oddity trasfigurata country di She Takes Me There”, fino al sound quasi hard psych di “Golden Child”, che sembra un pezzo dei White Denim.

Insieme a Ryley Walker, fra i miei personali dischi dell'anno scorso.

Carico i commenti... con calma