Ok Computer, ovverto una sincera e dettagliata analisi dell'opprimente società che ci circonda, una società sodomizzata da piaghe come consumismo, superficialità e conformismo. Questo album, il terzo dei Radiohead, rappresenta sia una crictica all'era moderna (e non solo) che un malinconico e angosicante desiderio di evasione, di estraniamento.

 E' da questo album che inizieranno le prime sperimentazioni dei Radiohead, i quali nei due album precedenti a questo si erano dedicati a un alterative meno originale ma comunque molto piacevole. I Nostri hanno però conservato la malinconia che contraddistingue tutta la loro discografia, compresi i quattro album successivi a questo nei quali le sperimentazioni elettroniche si sono fatte sempre più fitte. In questo senso possiamo considerare Ok Computer come uno spartiacque all'interno della loro produzione artistica.

 Ad introdurre l'album è "Airbag" con i suoi arpeggi aggressivi che passano subito in secondo piano per lasciare spazio ad un atmosfera sognante e spaziale così come lo è il testo; viene poi il turno di "Paranoid Android", canzone fra le più amate dai fans dei Radiohead e che fece molto discutere perchè venne scelta come singolo nonostante la sua durata (quasi sei minuti e mezzo, ma d'altronde questa scelta anti-commerciale fa parte della politica del gruppo). La canzone è forse la più polemica dell'album: Yorke ci spiega quella che è la sua posizione riguardo all'aborto, dicendosi ossessionato dalle voci di tutti i polli mai nati. Invoca quindi una pioggia purificatrice che spazzi via questo ed altri mali del genere umano che si personificano in una cicciona griffata e negli yuppies; "Subterranean Homesick Alien" è secondo me la canzone che meglio incarna la filosofia dei Radiohead: una melodia dolce e malinconica fa da sottofondo al lamento di un alieno trovatosi imprigionato sul nostro pianeta, sconcertato nel vedere come si affaccendano inutilmente i terrestri, talmente nervosi da riuscire addirittura ad intaccare la quiete dell'alieno che non chiede di meglio che essere portato via da altri alieni come lui; siamo solo alla quarta traccia e i Radiohead sembrano volerci già salutare con "Exit Music (For a Film)": ci invitano a svegliarci da quello che è stato sia un incubo che un sogno meraviglioso, ma non è così, ancora non abbiamo visto abbastanza, senza preamboli veniamo ricatapultati all'interno delle loro visioni con "Let Down", una sorta di bacio di Giuda sotto forma di canzone, con un sound allegro (per gli standard dei Nostri) e quasi brit-poppeggiante che accompagna la previsione di un futuro opprimente e senza scampo; siamo ora a "Karma Police", la più celebre del disco e autentico cavallo di battaglia del gruppo, una canzone dalla melodia semplice (con Jhonny Greenwood, anima musicale del gruppo, che per una volta rinuncia a synth e tastiere elettroniche per far spazio a un comunque efficacissimo pianoforte, accompagnato da un altrettanto semplice riff di chitarra acustica) ma dal significato molto duro: è a questo punto che ci si arrende, e dopo aver invocato la polizia del karma affinchè arresti dei presunti criminali che non fanno altro che essere controcorrente, ci si lascia andare nel lamento finale (per un minuto persi me stesso) che potrebbe essere sì interpretato come l'ammissione di aver peccato, anche se solo per un minuto, di bigottismo (e, in ogni caso, chi è che svolge l'azione di scusarsi? Siamo noi ascoltatori o sono i Radiohead stessi? La risposta è che i Radiohead questo viaggio l'hanno già compiuto tempo addietro, ed ora ci invitano a condividere i loro incubi), ma che senso avrebbe discolparsi a questo punto del viaggio? Il probabile significato di quel lamento è la promessa di non lasciarsi più andare a stravaganze e anticonformismi vari, nocivi alla comunità-automa; a questo punto siamo pronti per essere immessi nella catena di montaggio: la voce robotica di "Fitter Happier" ci rieduca (o, per meglio dire, ci fa il lavaggio del cervello), spiegandoci come essere degli automi dabbene in una società di automi dabbene, dei maiali in gabbia, sotto antibiotici. Ora che siamo stati rieducati possiamo a nostra volta compiere questa operazione con un ruolo decisamente non da comprimario: in "Electioneering" il nostro compito è di andare in cerca di altri liberi pensatori (come lo eravamo noi un tempo) e portarli dalla nostra parte con le cattive o con le cattive; Sopra alla distante e ultraterrena melodia di "Climbing Up The Walls" fa capolino (bellissima l'immagine del punteruolo nel ghiaccio) la nostra ex-personalità, quella intelligente e libera, che però in qualche modo viene percepita come una nemica, e nonostante ciò lei ci rassicura e ci minaccia allo stesso tempo, avvertendoci che dovunque saremo, la troveremò lì nella nostra testa, a scalare le pareti, ma oramai è troppo tardi, siamo totalmente automatizzati, e "No surprises" ne è la prova. Questa canzone è quella che più mi ha spinto a scrivere questa recensione, dato che quasi tutti ne hanno frainteso il messaggio considerandola come un semplice momento di consolazione e relax. In realtà "No Surprises" è la canzone più devastante dell'album, colei che ci condanna all'apatia eterna e ad avere come massima ambizione il possedere una casa carina e un giardino carino. Mi piace considerarla come la sorella minore di "Sunday Morning" dei Velvet Underground date le evidenti analogie: entrambe hanno una dolcissima melodia di sottofondo, entrambe ci spingono implicitamente a rinunciare, a farla finita, ed entrambe quindi ci coccolano mentre ci uccidono (un po' come si fa con i conigli, se avete presente). Sembra che tutto sia perduto quand'ecco che con "Lucky" e i suoi fievoli coretti gospel di sottofondo si riaccende un barlume di speranza, una luce alla fine del tunnel che viene metaforicamente trasposta sotto forma di un nuovo, vero amore, che ci salvi dal gigantesco incidente nel quale siamo intrappolati, un sentimento talmente profondo da far passare in secondo piano persino la chiamata del grande capo del paese degli androidi, che a questo punti ci sembrano solo stupidi turisti ("The Tourist"), e non turisti nei confronti, per esempio, di una nuova città tutta da scoprire: essi sono i turisti della vita, apatici e impassibili ma comunque frenetici all'interno della loro stupida routine quotidiana e ostili a noi che siamo così diversi. Probabilmente non se lo ricordano nemmeno il mondo che vediamo noi ora che siamo rinsaviti, visto che il meccanismo in cui sono inesorabilmente inseriti probabilmente non permette la diffusione di cartoline raffiguranti questo paradiso di colori ed emozioni.

 E giunti alla fine anche la copertina dell'album, che all'inizio ci pareva incompresibile, risulta chiarissima ai nostri occhi, con i suoi colori freddi e le sue linee frenetiche.

 Termina così Ok Computer, un' opera tanto piacevole e gratificante quanto terrificante e introspettiva, tanto esame di coscienza quanto analisi rigorosa, capace di farci vivere l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso in 12 canzoni.

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