I Rammstein sono una band piuttosto lenta nei tempi compositivi: quattro anni di attesa hanno separato il loro secondo album "Sehnsucht" dal capolavoro "Mutter", e da allora ci sono voluti altri tre anni prima che i Nostri tornassero a registrare nuove canzoni. Da quelle sessioni in studio uscirono 22 pezzi. 11 di questi furono inseriti nella tracklist di "Reise, Reise", mentre i restanti vennero pubblicati in questo quinto album, intitolato "Rosenrot", il primo a presentare una copertina all'altezza della situazione: malinconica eppure grandiosa, affascinante e in qualche modo romantica, di grande impatto.
È quindi "Rosenrot" una copia scadente del predecessore come il tristemente famoso "ReLoad" dei Metallica? Niente di più sbagliato, la scelta dei brani inseriti in questo disco è stata molto intelligente e mirata a dare a "Rosenrot" un carattere proprio, in modo da discostarsi il più possibile del predecessore, rispetto al quale risulta più omogeneo, più coeso e incentrato su sonorità scure e riflessive, dove anche le cavalcate più tracotanti sono in qualche modo depotenziate e rese più cupe e profonde grazie all'uso magistrale di tastiere, cori, beats elettronici e pianoforte. Perfetto esempio di queste atmosfere sono canzoni come "Spring", "Zerstoren" e "Hilf Mir", che prese singolarmente non sono certo il meglio di quanto fatto finora dallo Schiacciasassi teutonico, ma acquistano valore proprio grazie alla raffinatezza degli arrangiamenti, fino a risultare molto tese, possenti e contrastate.
Ad aprire l'album sono però i due singoloni "Benzin" e "Mann Gegen Mann" (con annessi testi controversi e video over the top che fanno dei Rammstein una vera e propria pietra miliare dell'ambito dello shock rock). La prima riprende un po' la concezione di "Enter Sandman" degli ormai defunti Metallica, ovvero inizio lento seguito da una rapida accelerazione, ma rispetto all'opener del Black Album questa canzone è molto più veloce e a mio parere molto più bella e meglio riuscita, con la chitarra incalzante che sale prepotentemente magistralmente accompagnata dalle tastiere, mentre la seconda è introdotta da una sorniona linea di basso (strumento del tutto impalpabile in "Reise, Reise") e sale d'intensità nel ritornello e nell'assolo, insomma una sorta di evoluzione di "Mein Teil", meno ringhiosa e più trasognata e ambigua.
Il basso svolge un ruolo di primo piano anche nella titletrack, "Rosenrot", una canzone più melodica e poetica delle prime due, in cui Till sfoggia le sue eccellenti doti tenorili, che fanno volare davvero alto questo pezzo semplice e orecchiabile ma di indubbio spessore.
Il meglio però i nostri lo danno in canzoni come "Wu Bist Du", un vero e proprio crescendo di passione, un po' come "Love Like Blood" dei Killing Joke, ma più potente, più universale e nobilitata da superbi arrangiamenti orchestrali ed elettronici, oppure la stupenda murder ballad "Stirb Nicht Vor Mir (Don't Die Bifore I Do)", stupenda nel suo arpeggio e nel duetto con la cantante Sharleen Spiteri, la cui voce dolce e un po' estatica si intreccia alla perfezione con quella di Till Lindemann. I tre brani di chiusura sono anch'essi qualcosa di speciale: cominciamo con "Te Quiero Puta", il latin-pop (ovviamente parodiato e portato al ridicolo nell'esaltazione della sua iconografia più machista e stereotipata) secondo i Rammstein: lungi da me dire che questa è la miglior canzone del disco, sarebbe una solenne pirlata, però è senza dubbio la più geniale, grazie anche al ritmo incalzante scandito da ottoni tipicamente messicani: non c'azzecca niente con il resto dell'album ma vale da sola il prezzo d'acquisto, ed è davvero un peccato che i Nostri non ne abbiano girato un video, non oso immaginare cosa avrebbero potuto tirarne fuori...
Dopo la sbornia il clima ritorna serio con "Feuer Und Wasser", una canzone che parte molto lenta, avvolgente e serpentina, forse la più dark del disco, anche se accelera non diventa un vero e proprio brano metal, ma una specie di inno molto epico e solenne, tutto da gustare. Chiuda l'album "Ein Lied", una nenia sommessa e ipnotica, che scarica a terra alla perfezione tutte le emozioni forti di "Rosenrot", lasciando l'ascoltatore piacevolmente inquieto e straniato.
Tirando le somme "Rosenrot" è davvero un pezzo da 90, un album meno orecchiabile di "Reise, Reise", e proprio per questo forse di maggior spessore musicale, una formidabile prova di sviluppo a maturità che conferma le superiori doti di una band già straordinaria. Davanti alla quale non posso far altro che levarmi il cappello.
VOTO 9+/10
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