La mente umana è la lama a doppio taglio per antonomasia, capace sia di innalzare talento e ispirazione oltre vertici inimmaginabili, sia di annientare la libertà di un individuo, soggiogandolo in una spirale d'illusioni soffocanti ed autodistruttive. Mr. Pickwick, durante i suoi viaggi, si soffermava spesso ad ammirare gli scherzi delle intelligenze del suo tempo, geniali e folli in egual misura, come due facce indivisibili della stessa medaglia, portatrici di scompiglio e ilarità nelle campagne inglesi della realtà dickensiana. La vita purtroppo non è altrettanto divertente. Per quanto spesso abbia frenato i miei impulsi e mi sia imposto di prendere le cose con filosofia, ci sono volte in cui il ragionamento umano, spietato e calcolatore, mi provoca una nausea tale, da non riuscire a sopprimere la rabbia, di fronte ad eventi insensati come quello che sto per raccontare.

Parliamo di menti, appunto, da un lato illuminate e sagge abbastanza da ascoltare il cuore oltre al cervello, dall'altro ottuse e accecate dalla propria fredda logica. Ci ritroviamo perciò ad osservare i contrasti che si generarono tra Robert Wyatt, personalità artistica tra le più alte dell'epoca moderna, costretto in sedia a rotelle da uno sciagurato incidente avvenuto nel '73, ed i responsabili di un programma televisivo, abbastanza stupidi da non riuscire a vedere nell'illustre personaggio, altro che uno storpio affetto da manie di grandezza.

Era il 1974 e, dopo la realizzazione di un'opera immortale ed irripetibile come "Rock Bottom", il nostro Robert, a causa di una preoccupante situazione economica, decise di pubblicare una cover di "I'm a Believer" dei Monkees, la quale, in quattro e quattr'otto, scalò la classifica dei singoli più venduti, come se fosse stata la cosa più naturale del mondo. I problemi però apparvero quando i produttori di "Top of the Pops" si resero conto che l'artista incautamente invitato a pubblicizzare la canzone, altri non era che un paraplegico, impossibile da riprendere in trasmissione senza turbare gli animi sensibili delle liete e perfette famiglie che avrebbero incautamente visionato lo sconsiderato e grottesco spettacolo. Nick Mason, produttore del singolo, dopo aspre battaglie, riuscì ad ottenere il permesso per la registrazione di una performance che, dopo la fugace messa in onda, venne convenientemente "perduta" e considerata irreperibile per eventuali repliche o pubblicità (la cosa incredibile è che tale documento verrà miracolosamente "ritrovato" circa trent'anni dopo e collocato in uno speciale su Robert, probabilmente non più considerato un disabile di cui vergognarsi, ma un fenomeno su cui fare soldi.. e si sa, al suono del denaro tutti recuperano la memoria). La rottura definitiva con il mondo commerciale avvenne quando una seconda esibizione fu annullata dalla BBC, alla notizia che l'impudente Maestro di Canterbury si era addirittura permesso di chiedere ai compagni musicisti di presentarsi sul palco in carrozzina, dando così luogo, a detta dei dirigenti, ad una rappresentazione volgare ed offensiva (nei confronti di chi, non ci è dato sapere) sul loro rispettabilissimo canale.

Giungiamo in questo modo, tra incomprensioni e intolleranza, al 1975, anno in cui Robert, forse stupito dalla facilità con cui la realtà tende a superare l'assurdità della fantasia (truth is stranger than fiction), partorì "Ruth Is Stranger Than Richard", contorto lavoro diviso in due facciate, la prima delle quali, dedicata a Ruth, ci mostra vivaci sonorità blues, messe a soqquadro dai raptus del sassofono di Gary Windo ("Soup Song"), seguite da episodi strumentali incentrati su un uso ancora maggiore dei fiati. Partiamo infatti dalla tromba di Mongezi Feza, cullata da colorate sfumature di world music ("Sonia"), tornando al sax di Gary, questa volta affiancato da quello di Nisar Ahmad Khan, nei toni commemorativi di una lenta marcia sostenuta dal basso e dalle frequenti rullate della batteria di Laurie Allan ("Song for Che"), fino ad arrivare ad uno straordinario jazz-prog, nel quale, nonostante il ritorno di Robert alla voce e le spericolate fughe di trombe e sassofoni, è il riecheggiante suono del basso di Bill MacCormick a fare la differenza ("Team Spirit").

A dispetto di quanto affermato dal titolo dell'album, il lato dedicato a Richard (inspiegabilmente collocato prima di quello intestato a Ruth, nella versione CD), risulta essere molto meno immediato e accessibile del precedente, con deliziosi quanto singolari duetti di voce e pianoforte, nei quali Robert sembra divenire egli stesso uno strumento, sostenuto dalla dolce melodia scaturita dai leggeri tocchi di Fred Frith, suggestivo ed impeccabile in ogni parte della composizione ("Muddy Mouse (a) - (b) - (c) / Muddy Mouth"). Quest'ultima intervallata da scene morbide e avvolgenti, ora caratterizzate dalla tastiera e dalle percussioni minimali al servizio del clarinetto basso di Gary ("Solar Flares"), ora dalla totalità dei fiati, impegnati a cavalcare il malinconico sintetizzatore di Brian Eno, in testa ad un grigio e desolato corteo ("5 Black Notes and 1 White Note").

Dopo aver ascoltato questo disco la prima volta, convenni che in fondo la realtà è sempre stata più imprevedibile e bizzarra di ogni immaginazione... Quella stessa realtà che, dopo aver tolto l'uso delle gambe ad un uomo, si meraviglia a guardarlo mentre si rialza in piedi, non più per camminare, ma per volare, libero e sereno, oltre le nuvole del pensiero, dove la mente umana, da sola, non riuscirà mai ad arrivare... E la cosa davvero stupenda è che Robert non si è mai limitato a visitare luoghi inesplorati e irraggiungibili, ma, tramite la sua musica, ha puntualmente permesso a tutti noi di solcare quei cieli, speciali e incontaminati, insieme a lui.

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