Ora, Vecchioni mi ha sempre affascinato più per l'uso professorale (e come avrebbe potuto essere altrimenti) delle parole più che per l'aspetto musicale, ma questo accade con un po' tutti i cantautori "intellettuali" della Penisola. C'è stato un periodo in cui l'ho ascoltato moltissimo, e un periodo in cui l'ho un po' abbandonato: capita, i grandi amori vanno e vengono. Poi è uno che ha preso una bella canzone di Don MacLean, "Vincent", che aveva pero' un testo sbilenco in originale e gli ha dato nuova vita: per dire, è un signor artista. L'album "Elisir", datato 1976, mi ha sempre affascinato, perchè è il disco pre-Samarcanda, cioè prima del successo popolare che fino a quel momento gli era sfuggito (nonostante una fervida attività di paroliere, e nonostante avesse inanellato due successoni che portarono in hit parade i Nuovi Angeli: "Donna Felicità" e "Singapore"). Mi piace perchè anche musicalmente è un album ben fatto, con venature prog, un bel folk maturo e qualche bella idea in sede d'arrangiamento (la batteria in "Un uomo navigato").

Ma non sono qui a parlarvi di questo disco nella sua interezza, ma di un libro, che ci riporta al disco. Nel 2022, durante un viaggio Malpensa-Catania, m'imbatto in un bookstore dello scalo varesino che ha in vetrina, a 18 euro, un libro dal titolo scarno che più scarno non si puo': "Canzoni". Mi incuriosisce. E' a firma Roberto Vecchioni (che ne cura la corposa prefazione di quasi 40 pagine: un compendio del cantautorato italiano, da Mogol a Fossati, da Guccini a De Gregori) e Massimo Germini e Paolo Jachia, che sono i veri autori del tomo (361 pagine, edizione Bompiani). Il primo si definisce un "chitarrista, cultore della musica italiana d'autore" (è uno che ha suonato con mezza scena musicale italica); il secondo è un professore di semiotica e teoria del linguaggio all'Università di Pavia. I due eroi hanno scelto alcune canzoni di Vecchioni (una trentina circa) e le hanno analizzate parola per parola, metafora per metafora, sinestesia per sinestesia (ci sono pure quelle). Tre di queste 30 sono canzoni presenti nell'album qui recensito. Ne riporto ampi stralci, sperando possano interessare, o incuriosire, qualcuno.

A.R.

[...] Arthur Rimbaud, nato nel 1854 e morto nel 1891, è in primo luogo, possiamo dire, con Vecchioni, il costruttore e il fondatore di una poesia nuova e di un nuovo modo di scrivere: da lui in particolare nasce, nel secondo Ottocento, il simbolismo francese. Ma a lezione da lui vanno anche molti artisti successivi, per esempio Thomas Eliot, autore della Terra desolata del 1920, e gli chansonnier francesi che nel secondo Novecento, assieme a Bob Dylan, sono un po' i padri di tutti i grandi cantautori italiani (e Roberto si muove infatti nel solco di queste grandi tradizioni). Rimbaud non era solo un grande poeta ma era anche un cittadino politicamente incazzato [...] E' costante in lui la polemica contro l'ipocrisia borghese del suo tempo ed è questo il senso di un verso centrale della canzone di Vecchioni: "E sua madre nel fienile, nel ricordo/vecchia scassata borghesia", dove si vede bene tutta la lontananza e la polemica contro la famiglia e la Francia propria di Rimbaud [...] Rimbaud sente di morire e non vuole morire in Africa, vuole morire a casa, sente forse per la prima volta, una fortissima nostalgia. Vecchioni ha quindi tenuto presente la fine della poesia di Rimbaud Il battello ebbro, dove si dice che, dopo aver girato tutto il mondo, il battello diventa (e vuole diventare, secondo Rimbaud) una barchetta di carta nella pozzanghera davanti a casa. [...] Questa canzone nasconde pero' altri riferimenti importanti, indizi che servono a costruire un ritratto suggestivo e, in ultima analisi, preciso. Per esempio: "E una negra grande come un ospedale" allude a una ragazza di colore che Rimbaud aveva davvero incontrato, nel 1884, in Africa e che potrebbe averlo accudito quando lui si era ammalato. Poi Vecchioni ha avuto presente dei versi del poeta della resistenza argentina Juan Gelman ("Portoghesi, inglesi e tanti altri uccelli da rapina/scelse per compagnia") e anche il film Una stagione all'inferno di Nelo Risi del 1971, dedicato proprio al grande poeta francese (il fienile "viene" dal ricordo di una delle scene del film) [...] Vorremmo precisare e ribadire che questa canzone si svolge su due piani. Il primo, come già detto e ora precisato, fa centro sommariamente e suggestivamente sulla vita di Rimbaud [...] il secondo spinge invece verso un'immedesimazione poetica, ed è caratterizzato dalla forte eco soggettiva che il racconto della vita e dell'arte di Rimbaud produce in Vecchioni. Dunque, se nelle strofe si parla di Rimbaud [...], nei ritornelli è invece Rimbaud (e in certo modo Vecchioni stesso) a parlare in prima persona: ed è qui, nel culto della poesia come ricerca di verità esistenziali, il punto di unità più forte tra Rimbaud e il modo di pensare la poesia (e la canzone!) di Vecchioni. [...] Nei versi "già grande si buttava via/E sua madre nel fienile, nel ricordo/vecchia scassata borghesia" Vecchioni istituisce infatti quasi un nesso logico tra due fatti che, in apparenza, non hanno legame, e invece lo hanno sul piano psicologico. La patologia non è l'omosessualità (Rimbaud era probabilmente bisessuale come Verlaine), ma il comportamento distruttivo e autodistruttivo che nasce da una fissazione infantile non risolta: appunto una "madre negativa" ("scassata") che continua a vivere nel ricordo e nella vita "non adulta" di Rimbaud. [...] Così, se Alessandro (nella canzone Alessandro e il mare) gioca con la sua ombra fino a morirne, prigioniero del ricordo del padre e delle sue proibizioni edipiche, Rimbaud gioca con le parole fino a distruggersi ("ribaltare le parole, invertire il senso fino allo sputo") e non ha pietà né attenzione né di chi gli è accanto né di se stesso, [...] Allora possiamo meglio precisare che la canzone nel suo sviluppo complessivo è il film di un lento e protratto suicidio: il primo fotogramma è la miseria di una stanza a Soho e il "disamore" di Rimbaud e Verlaine, e poi c'è la vita disperata e solitaria di Rimbaud con mercanti di armi e di schiavi, ma tutto questo iter, tutto questo sprofondare, è determinato da ciò che è avvenuto "prima di prima", cioè all'inizio della vita di Rimbaud, nella sua infanzia, caratterizzata da una madre e da una borghesia "vecchia e scassata" [...] Per una conferma di questi ragionamenti passiamo al secondo ritornello. Qui Vecchioni racconta del poeta in viaggio verso Marsiglia e verso un'improbabile salvezza (un altro dato storico reale, il viaggio è infatti avvenuto nel 1891 con il poeta già ammalato e forse quasi moribondo), ma si immagina anche che sia Rimbaud a parlare in prima persona e a trarre un drammatico bilancio della sua vita, del suo fallimento esistenziale: "Ho visto tutto e cosa so?/Ho rinunciato, ho detto No/ricordo a malapena quale nome ho". Qui, al di là del fatto che in questi versi si possa sentire un'eco del Fu Mattia Pascal o di Uno nessuno centomila di Luigi Pirandello, o un riferimento al protagonista del romanzo di Kafka, Il castello, in cui il protagonista diventa solo K. [...], quello che conta è la dimensione psicologica profonda che ci dicono il tono e il senso di queste parole e qui torniamo all'immagine negativa della madre e dell'infanzia: è da qui infatti, dal rapporto negativo, storicamente accertato, con i genitori, uno prematuramente scomparso, l'altra gretta, fredda e meschina, che parte in Arthur un progressivo processo di annientamento, autoannientamento, fino a non avere nome, fino a non essere niente [...] La canzone di Vecchioni presenta un doppio giudizio su Rimbaud: uno - di consenso - sulla grandezza straordinaria del poeta Rimbaud [...], l'altro - con qualche riserva - sulla disperazione del suo percorso esistenziale e umano. Forte dietro questa canzone resta il lato autobiografico di Vecchioni, la sua fatica esistenziale di uomo e di artista e il suo prospettare, qui in maniera implicita, un modo diverso di vivere e fare arte, modo che troviamo al centro delle sue canzoni se non dagli anni '70, certamente a partire dalla metà degli anni '80. Per quello che riguarda l'arrangiamento (ancora una volta di Mauro Paoluzzi) e l'aspetto musicale, il brano parte con una bellissima introduzione di un minuto dove un quartetto d'archi, realizzato da Lucio Fabbri sovraincidendo i singoli strumenti, prelude all'ingresso di due chitarre acustiche. A questo punto la band composta dagli strumenti tradizionali [...] accompagna Vecchioni per tutto il brano con l'aggiunta di un violino in una breve parte strumentale di collegamento dopo il primo ritornello. [...] In chiusura una parte strumentale lunga un minuto con la band al completo e il violino che suona la struggente melodia a significare tutto il dolore esistenziale di "Arthur Rimbaud": da notare che è solo nella conclusione che viene, finalmente ed esplicitamente, fatto il suo nome".

VELASQUEZ

"Velasquez" è una canzone di lotta, di battaglia, ma mostra anche lo sdoppiamento fra il coraggio di battersi per un'idea e la paura di battersi per un'idea. Velàsquez è il marinaio indomito che gira il mondo per salvare i popoli e non ha mai paura, invece l'uomo che combatte con lui (ed è lui che canta) di paure ne ha tante e molte volte scapperebbe dalla battaglia: "Fino a quando inventeremo/un nido di rose ai piedi dell'arcobaleno/e tante stelle, tante nelle notti chiare/per questo mondo, questo mondo da cambiare?" [...] Dichiara Vecchioni: l'abbiamo fatta con tanti arrangiamenti diversi ma il più bello è quello iniziale, preso da Cortez the Killer di Neil Young [...] Dopo l'ultimo ritornello l'autore ci propone ben due minuti di solo di chitarra elettrica con un totale di sette minuti e quaranta secondi, oggi impensabile, e che rende memorabile e suggestiva la canzone [...] Per comprendere questa canzone bisogna ricordare il significato complessivo di Elisir del 1976, il disco che contiene questa canzone. Secondo Vecchioni il filo conduttore di tutto il disco è il tema del viaggio. Allora Velàsquez potrebbe somigliare un poco all'Ulisse dantesco [...] Velàsquez pero' non è solo una canzone d'amore politico e di ricerca della verità, ma è anche una canzone fortemente drammatica perché il protagonista comprende che nel seguire quest'idea di verità e di libertà incontrerà nel suo viaggio moltissimi ostacoli che pero' non sono solo fuori di lui ma anche dentro di lui, e che sono la fragilità terrena, la sua incapacità di essere sempre un eroe a tutto tondo [...] Ne segue che questa canzone attraverso una pittura d'ambiente non molto pronunciata e di maniera (la tempesta, Capo Horn, il topos del viaggio e del ritorno, lo stesso Velàsquez, del quale continueremo a sapere ben poco) cerchi invece di descrivere il travaglio di Vecchioni, diviso tra l'essere un uomo qualunque e il suo ruolo di artista e intellettuale impegnato nelle lotte degli anni '70. [...] Dunque la canzone propone non un eroe mitico, ma un uomo capace, sia pur con fatica e con tormento, di scegliere, di decidere, di lottare o almeno di avere una sua faticosa coerenza ("Ahi, Velàsquez, [...] con te non si torna una volta sola indietro"), sempre disperatamente alla ricerca della verità, dell'autenticità ("Ahi Velàsquez, com'è duro questo amore/mi pesa la notte e prima di ricominciare/e tante veglie, come soglie di un mistero/per arrivare sempre più vicino al vero") [...] Con tutte le sue contraddizioni ma anche il suo coraggio e la sua determinazione. "Ahi, Velàsquez, certe sere quanta voglia/fermare la vela e ritornare da mia moglie/e tu mi dici: 'Fatti scrivere', è normale/per te bisogna sempre scrivere e lottare".

CANZONE PER FRANCESCO

Afferma Vecchioni: "Questa canzone è un ritratto di Francesco Guccini, ma è anche una fotografia di un'epoca storica e artistica, il passaggio dai cantautori degli anni '60 (Tenco, Paoli, Endrigo...) alla 'seconda ondata', ai cantautori degli anni '70, ma, per comprendere davvero tutto questo bisogna pensare a come è nata 'fisicamente' questa 'seconda ondata' e al grande mito che vi è dietro, quello del simposio. Gli anni '70 io li ho passati con Guccini, Dalla, Lolli e Branduardi. SI stava insieme perché c'era una nuova poetica che prendeva forma, si parlava di quello che si voleva dire in arte ma si parlava anche di vita e di cose quotidiane. Si cantavano, oltre alle nostre, canzoni popolari e napoletane ma anche Celentano e Modugno. Erano incontri molto 'vinosi' e rinnovavamo, quasi incosciamente, i simposi greci. [...] Di Francesco divenni amico proprio al Club Tenco. In quei giorni della metà degli anni '70 era triste per diversi motivi: era mancato un suo caro amico basco e stava vivendo un brutto periodo professionale in seguito a un articolo di Bertoncelli. La canzone è un tentativo di consolarlo di tutte le brutte vicissitudini [...] E, in effetti, il concetto bertoncelliano si ritrova nella canzone nelle parole: "E il giornalista in fondo è un modo di campare" e, per contrasto, nella canzone Vecchioni dice che "coi ragazzi c'era un fatto personale,/non han capito chi ci marcia su e chi vale" (e in effetti, per inciso, allora come oggi, possiamo dire che c'è chi fa il giornalista non per dire la verità, ma per "campare", cioè per mettere insieme i soldi di uno stipendio spesso mal meritato) [...] Per esempio, e più precisamente per quel che riguarda il testo della canzone, il "loro" del verso "loro han soltanto meno dubbi e meno anni" riguarda in particolare gli studenti del Sessantotto e le loro dogmatiche certezze, mentre il verso successivo richiama in particolare un romanzo di Italo Calvino, Il castello dei destini incrociati del 1973. La maggior parte delle altre citazioni, a parte Luci a San Siro, riguarda invece le canzoni di Guccini. La prima a essere ricordata è La locomotiva, poi c'è L'isola non trovata (dove, a sua volta, Guccini cita il poeta Guido Gozzano), poi ancora Auschwitz ("Susanna è andata su per il camino"). L'ultima citazione ("Bologna è un vecchio che ripete la mia vita/l'ultimo amore, l'osteria che mi è restata) richiama Canzoni delle osterie di fuori porta [...] Ora, per capire meglio tutto questo contesto, una fotografia fedele non solo di Guccini ma di tutta una precisa stagione storica, gli anni '70, è opportuno riportare un articolo che Vecchioni ha scritto per Amilcare Rambaldi e che si intitola Note in margine al Club Tenco [...] Canzone per Francesco, come l'intero album (Elisir) che la contiene, deve molto a Bob Dylan, in particolare all'album Desire uscito all'inizio del 1976, e a Neil Young, all'epoca molto caro a Vecchioni. Osserviamo poi che nella prima strofa, dove è Guccini a parlare, la voce ha un particolare trattamento che la fa risultare sdoppiata. L'arrangiamento, come al solito firmato da Paoluzzi, ha un gradevole sapore di "band" [...] con pero' un bell'arpeggio di chitarra acustica e un flauto traverso che commenta il tutto e forse ricorda quello di Ian Anderson dei Jethro Tull. [...] Finale in dissolvenza con un dialogo di due flauti, originale soluzione ancora una volta del nostro Paoluzzi. [...] Scrive Vecchioni: Quello alto, grosso, seduto come un turista 'Ahi, ahi, fai da te' in un divano straborghese del miglior albergo di Sanremo, era Francesco Guccini. Portava una Nikon al collo, presumibilmente per scattare e non dimenticare più. Io ero quell'altro, piccolo, magro, sfiorito, e non avevo ancora scritto né Samarcanda Stranamore, ma Luci a San Siro sì. E avevo una Canon al collo, per le sue stesse ragioni. Mi sedetti davanti a lui con sospetto (molto) e riverenza (poca) e ci fotografammo a vicenda. Francesco ordinò cinque bourbon, io cinque cognac, così capii che aveva addosso storie e praterie, insulti, guerre in Vietnam, Heminghway e Paperino; io invece Breton, Sartre, malinconie sottili, dolcezze impenetrabili e me stesso capovolto, dimezzato; un gran casino insomma. [...] Fu quell'incontrarci, mischiarci, confonderci in un umore comune a farci sentire buffoni e vati allo stesso tempo. Rincorrevamo il diverso, il bello, il messaggio, l'esempio, la parabola in musica, ci confessavamo senza pudotir e ne eravamo consci e fieri; ci stupivamo davanti a una metafora colta, a un'immagine che avremmo voluto scrivere noi. Fu quell'incontrarci al Pipistrello (una vecchia osteria) come chiudere porte e finestre alla banalità, al quotidiano 'consolatorio' della canzonetta e annusare altre strade, le nostre, che a volte si sfioravano senza congiungersi. Ecco, più del concerto, in cui tutti, Guccini compreso, ce la facevamo sotto e tracannavamo all'impossibile, fu quello il momento in cui il 'nuovo' venne fuori: la canzone come linguaggio parlato vero e non rosa confetto; la canzone come testimonianza, percorso senza secondi e terzi fini, di là delle vendite, della notorietà, del successo. Eppure il destino ci stava giocando un grosso scherzo: saremmo stati proprio noi a invadere il mercato in quegli anni e dopo, e l'industria, furbissima, già nel 1975 lo capì, lasciandoci molta libertà e costruendo i miliardi. Di quei tre giorni del 1974 a Sanremo ricordo quasi tutto. [...] Nessuno mi è rimasto più amico di Guccini, anche se ci vediamo raramente. [...] Facemmo gruppo con maestri del fumetto, del design, della politica attiva, della televisione d'impegno: ci riconoscemmo allo sguardo e al comportamento sconnesso e guascone; costruimmo in alcuni anni una nuova forma semantica libera, provocatoria, sempre fuori dagli schemi. [...] su quali grandi prospettive avesse la canzone d'autore per diventare una vera struttura, una vera forma d'arte dell'ultimo 900 e non un semplice e corretto commentario o passatempo. Ma questo Amilicare (Rambaldi, il patron del Club Tenco, ndr.) lo sapeva già benissimo 25 anni fa, prima di spingerci a calci in culo sul palco perché tremavamo come bambini. I suoi bambini".

E se siete arrivati fino a qui, prendete il disco in questione, aprite nella sua totalità la copertina e divertitevi con il Gioco dell'Oca. Come si faceva nel 1976, o almeno così mi hanno detto.

Elenco tracce testi e video

01   Un uomo navigato (05:07)

02   Velasquez (07:41)

Ahi Velasquez, dove porti la mia vita?
un fiore di camposi è impigliato fra le dita,
e tante stelle, tante nelle notti chiare,
e mille lune, mille dune da scoprire.
Ahi Velasquez, non ti avessi mai seguito,
con te non si torna una volta sola indietro:
in mezzo ai venti, sempre genti da salvare,
sei morto mille volte senza mai morire.

Un vecchio zingaro ungherese
di te parlando mi giurò
che c'eri prima di suo padre,
più in là nel tempo non andò.
I cerchi del tuo tronco sono
ferite d'armi e di parole
che mai nessuno vendicò

Ahi Velasquez, com'è duro questo amore.
Mi pesa la notte prima di ricominciare:
e tante veglie, come soglie di un mistero,
per arrivare sempre più vicino al vero...

Ahi Velasquez certe sere quanta voglia,
fermare la vela e ritornare da mia moglie;
e tu mi dici: "Fatti scrivere", è normale,
per te bisogna sempre scrivere e lottare.

E la tempesta ci sorprese
due miglia dopo Capo Horn:
se ne rideva delle offese,
in mezzo al ponte si distese
e fino all'alba mi cantò
Ragazze, terre, contadini,
da sempre popoli e padroni,
fu lì che tutto comincò.

Ahi Velasquez fino a quando inventeremo
un nido di rose ai piedi dell'arcobaleno,
e tante stelle, tante nelle notti chiare
per questo mondo, questo mondo da cambiare?

ahi Velasquez, ahi chitarra come spada,
mantello di sabbia, orecchio mozzo, antica sfida,
eterna attesa, corda tesa da spazzare,
e tanta voglia, tanta voglia di tornare...

03   Effetto notte (01:55)

04   Le belle compagnie (02:00)

05   A.R. (04:40)

06   Il suonatore stanco (05:02)

07   Canzone per Francesco (06:23)

08   Pani & Pesci (05:07)

09   Figlia (04:33)

10   Pagando s'intende (Canzone degli effetti sbagliati) (03:49)

Carico i commenti...  con calma

Altre recensioni

Di  iside

 "Geni, o lo si è dall'inizio o non lo si è più. Io vivo in un mondo in cui tutti siamo bravi, ma nessuno è genio."

 "Tutti pensiamo di essere gli unici a fare qualcosa di importante, e invece non facciamo che ripetere i concetti di altri; o, comunque, in tanti nello stesso modo stiamo dicendo la stessa cosa."


Di  Carlo V.

 "L'elisir è il viaggio verso l'ignoto, la sfida a ciò che non si conosce, sempre a testa alta nonostante la totale incapacità di capire cosa sarà."

 "'Figlia' è il brano dove c'è tutto Vecchioni, tutta la sua forza artistica e la gentilezza poetica."


Di  MarkRChandar

 Il disco fondamentalmente non parla d'altro: andate e ritorni, mare ed orizzonti, crescite con dirottamenti e di un passato mosso che riesce a speronare qualsiasi navigante proteso all'ignoto.

 Con questo disco sono riuscito a sentire qualcosa... ora esco fuori che il sole sta calando.