In principio c'erano i Black Thorns Lodge, fosca band doom metal dal suono ruvido e bruciante, fortemente debitrice dei primi Katatonia; poi improvvisamente la svolta, un brusco cambio di direzione tanto stupefacente quanto imprevedibile.
Alessandro Mita e Francesco Grasso, co-fondatori del gruppo, decidono di condensare in un'unica proposta musicale il loro amore dichiarato per gli chansonnier francesi, le avanguardie artistiche dei primi del '900, l'ariosa malinconia della new wave ottantiana, la livorosa decadenza del death/doom metal d'annata, la festosa genuinità ed il respiro atavico del folk est-europeo, con risultati impensabili per un'opera prima. Infatti, da un retroterra tanto vasto e multiforme ci si aspetterebbe nulla più che un flop colossale, un magma sonoro senza la minima continuità interna, un turbolento coacervo di sonorità ininconciliabili destinato a non lasciare alcuna traccia nell'ascoltatore... eppure il risultato denota un'inusitata maturità ed una padronanza dei propri mezzi espressivi che teme ben pochi rivali tra le band rock/metal nostrane.

Room With A View è quella ineffabile malinconia che ci pervade quando rinveniamo in soffitta una vecchia foto impolverata in bianco e nero, e ci soffermiamo ore a contemplarla sforzandoci di associare ad ognuno di quei volti di celluloide, che ci scrutano con espressioni smorte e distanti, un passato, una storia, una vita in un'epoca tanto lontana dalla nostra sensibilità quanto vicina cronologicamente. Un'epoca di irripetibili contraddizioni, divisa tra florido sviluppo sociale e sentore di tragedia incombente; tumultuosi fermenti culturali e oppressioni totalitarie; individualismi sfrenati ed omologazione di massa; ingenua fiducia nel progresso ed irrazionalismo dilagante.
First Year Departure mette in musica tanto lo spaesamento e la crisi di certezze che sottendono ad opere emblematiche quali "La Montagna incantata" o "Il Processo", quanto la gioiosa atmosfera comunitaria delle sagre popolari: presagi di morte e al contempo inni alla vita.

Il tortuoso viaggio attraverso il '900 inizia con la languida "Departures", ballad malinconica cullata da tenui brezze di synth, una sorta di Nostalgiaplatz (per chi conoscesse i Novembre) filtrata attraverso la sensibilità new wave. La seconda tappa, "Single Handed", è un turbinio di arpeggi onirici e dissonanti, riff torrenziali in puro katatonia-style e splendidi inserti acustici, incorniciati da una tromba uggiosa e dimessa. "Club Epoque" inizia con una nenia crepuscolare che pare echeggiare il cantautorato francese di inizio secolo, esplode catarticamente in un meraviglioso ritornello "elettrico", in cui la voce cristallina di Francesco Grassi sfoggia il meglio di sè, e infine si adagia su un soffuso tappeto di chitarre acustiche, intarsiato da ombrosi barriti di tromba. E' il momento della nostalgica end of season, episodio un po' anomalo nel contesto del disco, dato che si tratta di una canzone già presente sul demo dei Black Thorns Lodge riarrangiata per l'occasione. Il pezzo soffre di una ascendenza katatoniana fin troppo palese, ma si risolleva grazie ad un testo emozionante, un gusto inusuale nei riff ed un accorato omaggio finale al grande comico Ettore Petrolini. A seguire "Hero", ballad trasognata dal vago retrogusto indie, contraddistinta da uno stacco strumentale centrale che riesce a coniugare noise e prog in maniera superba.
"Madeleine" è tutto sommato l'unico pezzo trascurabile del lotto, per quanto impreziosito da un intenso ritornello in italiano. "Budapest Song" si qualifica senza dubbio come la canzone più easy listening di tutte, vista la sua alternanza tra riff di chitarra trascinanti e impetuosi e carezzevoli folate di synth-pop. Ed ecco che, dopo la breve parentesi acustica di "l'Enfant Italie", siamo giunti al capolavoro del disco: "Tiergarten". Le ritmiche sghembe, le dissonanze ruvide e spigolose, la voce straziante e sfibrata, traghettano l'ascoltatore in un mondo costellato da macerie e avvolto da una fitta patina grigiastra, dove una fisarmonica inquieta improvvisa un valzer spettrale sulle rovine della civiltà. Tuttavia, il finale lascia intravedere una nota di ottimismo: le atmosfere plumbee e desolate vengono spazzate via da squarci di luminosità acustica, a simboleggiare una rinnovata speranza nell'avvenire al termine di tanta insensata devastazione.

E la mia speranza è di avervi indotti ad ascoltare questo capolavoro, che nell'avvilente scena musicale italiana brilla come una gemma purissima. Non c'è modo migliore di concludere questa recensione se non con le parole del leader del gruppo:
"Benvenuti nel mondo dei Room With A View, il teatro della strada, dove pagliacci e marionette si rincorrono e dove, tra un giro di valzer e un sogno, si viaggia tra Trieste, Stalingrado e Salonicco. Ascoltateci se volete. Perdonateci, se potete, poichè noi siamo ombre soltanto, fatte di schegge di sogno e polvere di stelle."

Carico i commenti... con calma