Come accennato, gli Ottanta per un artista del calibro di Rory Gallagher sono stati anni difficili, poiché alle prese con le sue condizioni di salute sempre più complesse, causa l'alcoolismo dal quale egli era dichiaratamente dipendente. Ciononostante, dal punto di vista prettamente artistico, il nostro che aveva sempre visto come fumo negli occhi il famoso "successo a tutti i costi" va avanti per la sua strada e, in barba alle mode musicali del tempo (molto spesso pacchiane, a mio modo di vedere) e all'esplosione di generi come l'Heavy Metal e i suoi derivati Glam Metal e compagnia cantante, a distanza di 5 anni dalla pubblicazione dell'ottimo "Jinx", assieme al sempre affiatato duo McAvoy-O'Neill dà la luce nel 1987 (anno di nascita mio, manco a farlo apposta!) a quest'ennesima gemma Rock/Blues che porta il nome di Defender.

Come nel caso di Jinx, la scelta del titolo casuale proprio non è: con ciò, infatti, era intenzione di Rory quella di ribadire ancora una volta la sua ostinata refrattarietà a ogni qualsivoglia tipo di scelta musicale che riconducesse al cosiddetto "soldo facile" (facendo, dunque, "scopa" con il suo Against The Grain del 1975), ponendosi in questa maniera a difesa delle proprie radici Rock/Blues dalle quali, per l'appunto, letteralmente germoglia questo ennesimo album di ottima qualità.

Si inizia la rassegna con "Kickback City", solito pezzo Rock/Blues à la Rory in cui il nostro si distingue per il solito, inappuntabile lavoro alla Stratocaster e lo stesso mood viene seguito dall'altrettanto valida "Continental Op" dedicata all'omonima opera del narratore Dashiell Hammet (del quale Rory era fan) che presenta anch'esso un sound altrettanto solido e senza cedimento alcuno.

Con "Loanshark Blues" e, soprattutto, con la magnifica "I Ain't No Saint" si ripercorrono i polverosi sentieri Blues battuti da quel "mostro sacro" del Chicago Blues che è John Lee Hooker con risultati anche in questo caso decisamente eccelsi.

"Failsafe Day" è un altro bel pezzo Rock/Blues assai muscolare sostenuto da una serie di ottimi riff e dalla rocciosa quanto perfetta sezione ritmica del duo McAvoy-O'Neill che si ripropone alla grandissima nella successiva "Road To Hell" che già dal titolo potrebbe apparire una citazione della celeberrima "Highway To Hell" dei gloriosi AC/DC della Bon Scott Era , ma che in realtà è un poderoso pezzo che strizza l'occhio al Southern Rock di ZZTop e soci in alcuni passaggi.

Con "Doing Time", altro ottimo pezzo, la qualità continua a mantenersi su standard molto elevati, idem dicasi per "Smear Campaign" che tradisce nuovamente la sua passione per i "B-Movies" dedicati allo spionaggio.

La cover del grande Sonny Boy Williamson "Don't Start Me Talkin'" vede, invece, come protagonista Mark Feltham, proveniente dalla band Nine Below Zero e amico di McAvoy e O'Neill, qui autore di un bellissimo assolo di armonica e che poi diverrà collaboratore fisso nel successivo album "Fresh Evidence" di 3 anni più tardi.

Con il superbo Country/Blues acustico di "Seven Days" ritorna "a furor di popolo" il piano elettrico di Lou Martin che accompagna in modo inappuntabile l'acustica di Rory, chiudendo in modo eccellente un album di Rock/Blues con venature Hard Rock dall'aspetto tremendamente solido che non lascia assolutamente scampo fin dal suo primissimo ascolto.

Da notare della riedizione in CD del 2018 l'aggiunta di altri due pezzi Rock/Blues come "Seems To Me" e "No Peace For The Wicked" che confermano, qualora ne fosse stato ancora necessario, la grande consistenza di questo lavoro discografico.

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