NB: ringrazio Ali76 che con una simpatica recensione mi ha fatto scoprire questo artista.

Ogni genere musicale ha un suo scopo, ma a seconda della sensibilità di ognuno, le sensazioni provate variano radicalmente. Cosi come il rock‘n'roll è musica per il corpo, per il ballo, il metal è musica che tocca (dovrebbe farlo) l'istinto dell'ascoltatore, l'ambient è musica per la mente, e mille altri casi. Il blues, nella sua accezione primigenia, è la manifestazione del disagio, della sottile infelicità, senza che questa musica diventi meramente consolatoria. Questo genere è, per chi scrive, una delle più toccanti espressioni dell'interiorità fatta suono, basata su strutture immediate e familiari, caldissime. Ad alcuni arriva dritto all'anima, ad altri appare poco più di una serie di accordi standard e poco appariscenti.

Rory Gallagher, nella sua devozione al vecchio verbo con i prodigi delle moderne amplificazioni, è stato forse il più grande musicista blues-rock di sempre, lontano dal gossip pop(ulista) e da banali slogan pubblicitari. Nessuno ha mai scritto "Gallagher is God" su qualche muro, nessuno ha mai visto il musicista irlandese a Top Of The Pops per riscattare un vecchio nome dimenticato. Fino alla fine dei suoi giorni, questo personaggio è rimasto fedele a sé stesso e alla sua passione: riciclandosi, proponendo album che puzzano di vecchio (o, alla meglio, di vintage)? Può essere. "Irish Tour" è l'album live per eccellenza, ma buona parte dei dischi in studio non ne sono all'altezza, è vero. Nonostante ciò, Gallagher, in tutte le sue prove, riserva sempre qualcosa di cui vale la pena parlare.

Nel 1971 l'irlandese termina di incidere questo "Deuce", con registrazione per buona parte in presa diretta: la "leggenda" vuole che questo disco sia stato composto e registrato in varie  sedute tra il '70 ed il '71, dopo le esibizioni e spesso a notte fonda. La musica, pur rimanendo saldamente ed intensamente blues, concede vari deragliamenti in un rock più sanguigno come altri momenti cha variano dal folk (sia di stampo anglosassone che statunitense) al jazz-rock. La tracklist nella sua interezza, da "Used To Be", "I'm Not Awake Yet" fino alla splendida "In Your Town", concede decine di minuti preziosi e pulsanti di vera energia, un calore che solo pochi altri hanno toccato, per un attimo fugace o poco più.

Al pari di Johnny Winter sul versante statunitense, è evidente l'unione tra il rispetto del classico e le nuove influenze rock (si vedano le intuizioni seminali di Hendrix e Cream), in un connubio perfetto che non risulta mai troppo ostico o, all'opposto, troppo semplicistico. In futuro la scena blues, sia britannica che statunitense, scivolerà facilmente nel rock di grana grossa da classifiche (poco prima del trionfo dell'esteriorità di matrice glam).

Prevedibilmente, la produzione di questo album appare poco limpida, non risultando però un difetto rilevante, considerando la natura quasi "improvvisata" dell'opera, come di poco conto risultano le (poche) imperfezioni riscontrate nelle parti vocali e nelle sfuriate chitarristiche. Splendido ed egregiamente imperfetto.

Carico i commenti... con calma