Sandro Bondi è uomo politico ed intellettuale che non ha bisogno di presentazioni: già amministratore locale per il PCI, si è gradualmente distaccato dalle posizioni della sinistra massimalista a partire dalla seconda metà degli anni '80, in concomitanza con la caduta dei regimi illiberali dell'est europeo,  abbracciando gradualmente una posizione liberal-democratica, compiuta nella sua pluriennale collaborazione con Silvio Berlusconi, sia in Forza Italia che nel Popolo della Libertà, del quale è attualmente Senatore.

Personaggio per certi versi scomodo - al pari di Giuliano Ferrara, Paolo Liguori, Fabrizio Cicchitto, ed altri che da originarie posizioni di sinistra si sono aperti al liberalesimo  - Bondi è stato spesso osteggiato dalla parte politica avversa, che forse con troppa superficialità ha ironizzato sulla sua adesione acritica al pensiero liberale ed alle formazioni politiche di centrodestra succedutesi negli anni.

Accuse facili, per certi versi, ed indubbiamente semplificatorie, spesso addotte nei confronti di chi si ritiene, a torto od a ragione, un "traditore" dell'Idea; poco importano, tuttavia, queste vicende, rispetto alle quali va pur osservato, per dovere di completezza, come le reazioni di Bondi siano sempre state improntate al massimo equilibrio ed alla piena serenità, senza mai avvitarsi in polemiche inutili, e come nel Nostro difetti, a mio sommesso parere, ogni opportunismo e cinismo.

La recente esperienza come Ministro dei Beni Culturali, carica da cui Bondi si è dimesso in polemica con la gestione dissennata del patrimonio culturale italiano nel corso degli ultimi decenni, ha fornito al politico toscano l'occasione per un'approfondita riflessione sul "problema culturale" italiano.

La tesi di Bondi, espressa con la consueta eleganza e ricchezza di linguaggio (l'Autore è anche poeta, oltre che bibliofilo),  è che la cultura, in Italia, sia divenuta un "problema" a causa delle fratture sociali e le partiginerie che si sono diffuse nel corso degli ultimi decenni nel Paese: mentre, negli anni immediatamente successivi all'Unità e nel corso dei primi tre decenni del secolo scorso - anche per l'influsso di figure aggreganti come Croce, e, soprattutto, Gentile - la Cultura era strumento di unificazione e patrimonio condiviso di tutti gli italiani, dal dopoguerra in poi anch'essa è divenuta oggetto di contesa fra il fronte moderato ed il fronte socialcomunista.

La cultura - intesa come formazione scolastica, universitaria, diffusione delle arti letterarie, visive, cinematrografiche - é divenuta pertanto strumento attraverso il quale i Partiti politici, ed in particolare il PCI, ben provveduto allo scopo in forza delle indicazioni programmatiche gramsciane, hanno tentato di formare la coscienza collettiva, ed in particolare quella delle generazioni più giovani, nel rispetto di valori determinati e tutti afferenti alla costellazione ideologica del Comunismo.

Di qui, la massiccia penetrazione del Partito nei quadri delle istituzioni scolastiche, nelle Università, nelle Fondazioni Culturali, nel mondo nel cinema e dell'arte in genere, ponendo in essere la c.d. "egemonia della sinistra nella cultura italiana".

Per scendere nel concreto, in maggiore affinità alle esperienze degli utenti del sito, si consideri la diffusione di un linguaggio cinematografico che ha divelto dall'interno il concetto di famiglia (l'intera commedia all'italiana nè è un chiaro esempio), diffondendo modelli alternativi ad esso, o, ancora, alla "semantica" del cantautorato italiano, intrisa di messaggi volti ad avvicinare gli adolescenti dapprima a certi valori, e, secondariamente, a specifiche opzioni di voto (netti i casi di De Andrè, DallaGucciniPietrangeli, Marini, per non dire di gruppi espressamente schierati, come Area, Stormy Six, CCCP-CSI ed analoghi). E non è in effetti un caso, che, nella mia collaborazione con il sito, mi sia spesso imbattuto in linguaggi e concezioni massimaliste, che proprio di quella "cultura" costituiscono il portato.

Fin qui, il libro di Bondi sembra peraltro ripercorrere argomentazioni piuttosto frequenti all'interno della cultura liberale - si pensi ai contributi di Urbani, Veneziani e di intellettuali che, soprattutto negli anni '90, hanno definito il paradigma culturale di Forza Italia - aggiungendo postille di particolare rilievo soprattutto quando analizza le vicende dell'ultimo quindicennio: ad avviso dell'Autore, l'ingresso in politica di Berlusconi ha "messo a nudo il re", dimostrando la persistenza, in Italia, di una "cultura del fare" già propria dei ceti produttivi e terziari (di fatto, la base del boom economico e dello sviluppo del Paese nel secondo dopoguerra, incarnato dallo stesso leader di centrodestra) e materialmente, fattualmente, prevalente sulla cultura di sinistra, legata alla speculazione teorica, senza effettiva ricaduta pratica e dialogo con il quotidiano.

Al contempo, proprio l'avvento del berlusconismo - che simbolicamente incarna la cultura italiana effettiva - ha gettato la sinsitra in battaglie di retroguardia: di fatto, persa la battaglia per l'egemonia culturale, la contesa si sarebbe spostata nell'egemonia etica, in cui gli eredi del PCI si affermano moralmente superiori, e, perciò, legittimati a governare in luogo delle forze economico-sociali a sostegno del Popolo della Libertà.

La tesi è suggestiva, per certi aspetti verosimile, ma non voglio spingermi nell'ennesima polemica prendendo una o l'altra parte, ed assumendo il troppo facile - e francamente retorico - ruolo di sofista e difensore di qualche parte purchessia, anche alla luce della mia storia personale e delle mie attuali mansioni nello staff di un politico di schieramento avverso a quello di Bondi.

Il rilievo che metto in coda alla lettura del libro di Bondi è, invece, un altro: tralasciando il problema (vero o falso che sia) dell'egemonia culturale del PCI-PDS-DS-PD, mi chiedo se, nelle sue politiche culturali dell'ultimo cinquantennio, la sinistra non abbia fatto degli errori di valutazione, muovendo da premesse storico antropologiche errate e sopravvalutando le caratteristiche del cittadino italiano, oltre che del corpo elettorale nel suo complesso.

Il mutamento della mia prospettiva dovrebbe essere  agevolemente percepibile anche per gli utenti più fumantini e meno riflessivi del sito: lo compendio in alcune questioni finali, su cui spero si possa avviare, almeno una volta, un confronto serio.

E' possibile affermare che la cultura di sinistra tutta muova da una concezione idealizzata dell'individuo, ritenendo, sulla base di un pensiero razionalizzante di matrice illuministica e giunto ai vari Gramsci attraverso la mediazione di Marxe non chiedessero, piuttosto che "cultura", un semplice benessere, alla stregua del noto dettodi noi romani "Franza o Spagna purchè se magna", o del vecchio "Panem et circenses", che oggi si ripropone nella figura dei giovani consumatori di televisione, cinema, musica, o nella maggioranza dei giovani patiti del "Grande Fratello"?

E' possibile che la cultura di sinistra, volta all'elevazione dell'individuo condotto verso le "magnifiche sorti e progressive", si sia risolta in un messaggio normativo-ottativo, ossia abbia sempre considerato l'individuo, la tecnica, le arti, nell'ottica del "dover essere", sottovalutando "l'essere in sé", ossia la reale condizione degli italiani e le ragioni per le quali gli italiani hanno determinate strutture caratteriali e comportamentali?

Gli interrogatori non sono oziosi: tra l'altro, spiegano statisticamente come molti giovani non siano attratti da studi matematici, ingegneristici, informatici ( come invece avviene nei Paesi economicamente emergenti) ma da studi umanistici non sempre concludenti, e chiariscono, forse meglio di troppe astrazioni, le ragioni della debolezza culturale italiana, che rendono poi così poroso il nostro Paese rispetto alle influenze culturali dell'Est europeo o del Magreb, oltre che di filosofie cinesi, indiane ed orientali in genere.

A Sandro Bondi ed al suo libro va quindi il merito di aver lumeggiato un tema che merita ampia riflessione, aprendo al rinnovato dialogo fra gli opposti schieramenti di uno Stato culturalmente diviso, contro una Tradizione che andrebbe ripensata come unitaria, magari ripartendo proprio dai summenzionati Croce e Gentile.

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