Sono ormai due anni che gli armeni System Of A Down sono in "pausa indefinita", e l'ex vocalist Serj Tankian ha partorito "Elect the Dead", tutto sommato un bel lavoro, il quale palesava il suo approccio mistico e riflessivo alla musica. Immaginate lo stile degli ultimi due album (o del doppio album, che dir si voglia) dei SOAD, "Mezmerize" e "Hypnotize", parzialmente spogliato dall'approccio del loro cantante, e avrete trovato quasi tutte le differenze tra loro e gli Scars On Broadway, nuova band di Daron Malakian (chitarra e voce), in cui milita anche l'amico John Dolmayan, già alla batteria nei System.

Peccato per la presentazione "visiva" dell'album, la copertina fa proprio un po' schifo... By the way.....

Fin dall'energica opening "Serious", si nota la tendenza a mescolare nu-metal, rock '70-'80 e tribalità,  altalenando momenti più heavy (e variazioni delle stesse) a espressivi e malinconici inserti melodici. Su gran parte dell'album, infatti, Daron tira fuori il lato più "sdolcinato" della sua voce e gioca con vocalizzi simili a quelli dell'ex-compagno Serj, tessendo interessantissime linee vocali. Ne sono esempi tangibili la tribaleggiante "Funny", "3005" o "Babylon", la cui introduzione vi ricorderà "Soadiani" episodi come "Holy Mountain" o "Soldier Side", "Outro", salvo poi trasformarsi in un pezzo più sostenuto, con un inserto "folkloristico" e ballabile. Questa traccia è quella più simile, nello stile, a "Elect The Dead". Peccato che alcuni pezzi si somiglino un po' troppo tra loro o siano spesso ripetitivi: ne è un esempio l'esagerata linearità di "Kill Each Other/Live Forever".

Durante il resto dell'album, invece, la band presenta anche il suo lato più delirante e sguaiato: il duo "Exploding/Reloading", molto rock e dalle tastiere '70s, e "Stoner Hate", ricorda in parte momenti del passato dell'artista ("Cigaro", "Bounce"). Particolare attenzione va data ai testi, assolutamente nonsense nel tipico stile di Malakian (ad esempio, lo "scioglilingua" "Supercalafragalistcexpealadocious is a word to me, just like a Mamma Mia" di "Stoner Hate").

Un piglio più 'dancy' è stato dato a "Chemicals" e  "Enemy" in particolare al basso e alla batteria della seconda tra queste, che sostengono ritmicamente il pezzo. Su "Enemy" fa capolino uno degli intro che Daron utilizzava nei primi live dei System, ai tempi denominato "Drugs", che effettivamente non è che stia proprio bene lì dov'è... Serve solo a spezzare un altrimenti ripetitivissimo pezzo.

La malinconica "Whoring Street" merita nozione a parte, in quanto le cupe seconde voci riportano alla mente i duetti con Tankian, capaci di smuovere qualcosa di profondo nelle menti e nei cuori dei fan dei SOAD.

Con questa traccia sembra chiudersi l'album, peccato faccia capolino ancora un pezzo, il punkettoso "They Say", scelta come primo singolo ma senza dubbio la canzone più noiosa e meno ispirata di tutto l'album, che appare quasi una forzatura messa lì dov'è, dopo quella che sarebbe stata una degna conclusione.

Se proprio dobbiamo cercare altri punti di paragone col Tankian, possiamo porre attenzione sui testi, che, ad esclusione degli episodi nonsense dell'opera, tentano un approccio "socialmente impegnato" tanto caro a Serj: nel caso di Daron, però, sono spesso frasi più scontate (e condite di "fuck" e "fucking" che fanno tanto bambino ribelle) e molto meno poetiche di quelle dell'ex-compagno, nonostante calzino perfettamente sulla musica su cui sono cantate. Il batterista è lo stesso, e quindi questo si riflette sulle ritmiche, sostenute, dettagliate, originali e tribali anch'esse, come quelle dei SOAD, appunto.

L'intero album pecca forse di eccessiva ripetitività, nonostante faccia di tutto per variare appena può, con stratagemmi (nemmeno troppo geniali, in definitiva)  tipici del genere, come crescendo heavy (vedi doppio pedale e tentativi di screaming su "Cute Machines") o assoli, tema su cui Daron non ha mai spiccato per fantasia. Non convince nemmeno gran parte delle chiusure dei pezzi, che appaiono quasi come troncati all'improvviso...

Ma tutto sommato, l'intero lavoro scorre via piacevolmente, sono pochi i pezzi ad invocare uno "skip" alla traccia successiva e la durata totale è quella giusta: nonostante presenti qualche interessante elemento di evoluzione e distacco dal loro stile (e non sia un capolavoro di quelli "senza tempo"), questo è evidentemente il futuro album mancato dei SOAD.

Carico i commenti... con calma