Con “Walk Between Worlds”, il loro diciottesimo album in studio, i Simple Minds completano un percorso di rinascita iniziato timidamente con il discreto “Cry” del 2002 e perfezionato con l’ottimo “Big Music” di quattro anni fa.

Riconquistate Top 20 e critica (il Times ha già definito il nuovo disco “album della settimana”), per Jim Kerr e soci adesso è tempo della definitiva rivincita. Se l’ennesimo rimpasto in formazione (fuori il batterista Mel Gaynor e il tastierista Andy Gillespie, dentro Catherine AD – meglio conosciuta come The Anchoress - , la percussionista Cherisse Osei ed il multistrumentista Gordy Goudei) poteva far temere l’ennesima sbandata per la storica band, già le prime note dell’album provvedono a fugare questo dubbio.

“Magic”, posta in apertura e scelta come lead single, è un ottimo brano e fonde alla perfezione la grandeur dei primi Simple Minds con la voglia di spingersi in territori inesplorati di quelli più recenti. Va ancora meglio con la successiva “Summer”, più ruvida ma sempre riconoscibile. “Utopia”, vagamente arabeggiante e meravigliosamente arricchita da un sontuoso lavoro sulla parte ritmica, è l’ennesimo episodio convincente, e ci introduce al più essenziale (ed anch’esso bellissimo) “The Signal And The Noise”, prova assoluta dello stato di forma stellare della band, che non perde un’oncia della propria incisività nonostante la natura meno bombastica del pezzo rispetto ai primi brani in tracklist.

Dopo “In Dreams”, l’episodio più vicino alla dance del disco, arriva il momento di Burchill; ed è un gran sentire. “Barrowland Star” è sontuosa, bellissima, in pieno stile Simple Minds senza mai sembrare senile o ridicola; Burchill si sbizzarrisce alla sei corde e ne esce uno dei pezzi più belli proposti dalla band negli ultimi sedici anni. Dopo un ritorno verso lidi danzerecci nella titletrack, in chiusura arriva il vero capolavoro del disco; “Sense Of Discovery” è il brano che sancisce la rinascita definitiva della band. Bellissimo, epico; suonato, prodotto, arrangiato ed interpretato da Kerr in maniera incredibile (confermati da “Big Music” i produttori Andy Wright e Gavin Goldberg). Un clamoroso sigillo in chiusura di un bellissimo disco che a tratti ha davvero qualcosa di miracoloso.

La dote migliore di Kerr e cosi, adesso possiamo dirlo, è stata la pazienza nell’attraversare un decennio non facile. Dove altre band avrebbero mollato, i Simple Minds hanno avuto gli attributi per rimettere insieme i cocci e ripartire. Adesso si godono un disco bello e completo, che nonostante contenga solo otto brani nell’edizione standard (altro grande pregio, zero riempitivi e tanta sostanza) entra di diritto tra le loro migliori cose, perlomeno nella tribolata seconda parte di carriera.

Bentornati!

Brano migliore: Sense Of Discovery

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